Don Carlo e il suo Museo
Secondo alcuni testimoni, don Carlo cominciò a organizzare un museo archeologico a partire dal 1931, secondo altri, dal 1935. Apparentemente, iniziò da pochi pezzi rinvenuti nel corso degli scavi delle fondamenta dell’Istituto Cornelio Merchán; ciò lo spronò nella raccolta, probabilmente ricordando che a Torino esisteva un grandissimo Museo Egizio. Fin dai suoi primi viaggi in Ecuador, come egli stesso ricorda, aveva visto e raccolto alcuni reperti, già quando preparava la partecipazione dell’Ecuador nelle Esposizioni di Roma e Torino.
In quegli anni, si erano realizzati in Ecuador pochi scavi scientifici. Quello che a Cuenca si ricordava maggiormente, era stato eseguito da Max Uhle a Pumapungo, nel settore orientale della città, dove lavorò intensamente tra il 1921 e il 1922, avendo pubblicato nel 1923 la sua relazione, intitolata Tomebamba, accompagnata da un eccellente studio introduttivo di Remigio Crespo Toral.
Una delle principali preoccupazioni del già citato Centro di Studi Storici e Geografici di Cuenca, fu di arrivare a precisare dove si trovava la città incaica di Tomebamba, come alcuni credevano e cercavano di provare che si identificasse con Yunguilla e con altre zone che gli spagnoli scelsero per la fondazione di Cuenca. Il lavoro di Uhle chiarisce il mistero e mise in chiaro che la città dove nacque il grande re Inca Huayna Capac, sorgeva nel medesimo luogo in cui fu fondata Cuenca nel 1557 e che il suo settore amministrativo aveva sede in Pumapungo.1
La collezione di padre Crespi aumenta rapidamente con i pezzi trovati da agricoltori o huaqueros dell’Azuay2, del Cañar e dell’Amazzonia ecuadoriana. Poco o nessun interesse ufficiale si ha di raccogliere l’eredità indigena, perché chiunque trovava manufatti di pietra o ceramica, andava direttamente da quegli stranieri che mostravano interesse per questi oggetti rimasti sepolti per centinaia d’anni. Padre Crespi sogna invece un grande museo per Cuenca. Perché no, come quello che aveva visitato in Italia. E così lo arricchì attraverso acquisti e donazioni provenienti da diverse parti del paese. Con il passare del tempo, acquistò un’infinità di manufatti intagliati in pietre biancastre, di scarsa durezza e di epoca recente, oltre a lamine di latta e di ottone di colore dorato, recanti strani disegni, frutto della fantasia o simili a quelli descritti nei libri di archeologia egizia, del vicino o dell’Estremo Oriente asiatico.
La collezione cresceva a dismisura, mentre il numero degli spazi adibiti non seguiva in proporzione ai suoi acquisti, così che i reperti venivano ammassati senza un ordine cronologico o tematico, conferendo ai locali l’aspetto di un accumulo di oggetti più che di un vero e proprio museo. Chi scrive, in qualità di professore della Facoltà di Filosofia dell’Università di Cuenca, visitava annualmente la Mostra per completare le lezioni teoriche dei corsi sulla storia dell’Ecuador precolombiano. Quando ebbi l’occasione di dire a padre Crespi che tutti quei manufatti sembravano repliche, la sua risposta mi lasciò senza parole: “Sì, lo so, ma in questo modo dò lavoro ai poveri”.3 Ciò vuol dire che inizialmente era in grado di distinguere il reperto autentico dal falso, mentre con il passare del tempo, in età avanzata, finì per considerare tutti i pezzi del suo museo autentici. In una delle mie visite gli feci notare che non c’era più quel bel e autentico “quero”4 di epoca incaica. Scuotendo il capo, rispose con velo di tristezza sul viso che forse era stato sottratto da qualcuno che si era introdotto con la scusa di vedere il Museo.
L’Ecuador è un paese con molte culture indigene. Alcune risalgono a circa quindicimila anni e corrispondono all’iniziale stanziamento, altre si collocano tra le culture formative nel periodo compreso tra il 4000 e il 500 a.C. Quelle successive, invece, si conoscono come attinenti agli sviluppi regionali che partono dal 500 a. C. fino al V secolo d.C.. Da ultimo, vi sono quelle che da questa data arrivano fino al XV e XVI secolo della nostra era. L’ultimo stadio dell’archeologia ecuadoriana ha inizio intorno al 1450, con la conquista e la dominazione degli inca, provenienti dal Perù e dall’Alto Perù e che prolungarono la loro cultura fino all’anno della suo venir meno, nel 1532, con il trionfo dello spagnolo Francisco Pizarro sull’ultimo sovrano Atahualpa.
I reperti archeologici raccolti da padre Crespi risalgono ad alcuni di questi periodi; tuttavia, non li riunisce secondo un criterio di classificazione e di sistematicità, in quanto acquisiva ciò che gli veniva offerto. Probabilmente, pensava di ordinarli e studiarli successivamente, ma la sua attività di educatore e per il suo ministero pastorale non riuscì a realizzare questa sua intenzione iniziale. A poco a poco gli vendettero dei reperti dicendogli che provenivano da altre località del continente americano e del Vecchio Mondo, tanto da fargli ritenere, in età avanzata, di aver costituito uno splendido museo, importante forse come quello egizio di Torino o come gli altri visitati in Italia. A tal proposito, non bisogna dimenticare che egli trascorse un terzo della sua vita, ossia il periodo di massimo apprendimento, coincidente con l’infanzia e l’età giovanile, proprio in Italia. Non va dimenticato che era laureato in scienze naturali, diplomato al conservatorio e, come egli stesso ha confessato ad un compagno di studi, con un particolare interesse per i musei.
Nel processo di creazione del museo e di acquisizione dei reperti autentici, questi diventano sempre più rari e l’attenzione di padre Crespi si sposta sulle riproduzioni: in particolare, lastre di pietra con geroglifici, vasi greci, bassorilievi raffiguranti buoi sacri, piramidi egizie, sculture ellenistiche e amerinde che rappresentano cavalli e serpenti, oltre ad armi, placche, scettri, maschere e altri oggetti dorati. Frequenti sono i richiami a Babilonia, all’antico Egitto e, fra gli altri, al popolo etrusco, cretese e ittita. Agli uni e agli altri faceva riferimento per parlare di queste culture che si espansero e arrivarono sino al continente americano, attraversando l’Africa e giungendo alla foce del Rio delle Amazzoni, per poi risalirlo sino alle sorgenti ed entrare nella nostra provincia attraverso il fiume Paute.
Chiaramente circa il popolamento dell’America e dell’Ecuador vi sono in concreto molte ipotesi; a tutt’oggi non è stata fatta sufficiente luce sull’antichità e la provenienza dei popoli che entrarono in contatto con gli europei a partire dal 1492. Alcune teorie sembrano coincidere con le idee di padre Crespi, come ad esempio quella di una presunta corrente migratoria dalle caratteristiche egizie, che si possono apprezzare nelle sculture femminili della cultura Valdivia.
Il 5 febbraio 1968, padre Angel Botta, provinciale di Cuenca e delle missioni, chiese a padre Antonio Nardon, provinciale dei Padri Giuseppini, di inviare uno dei suoi collaboratori, l’archeologo e sacerdote Pedro Porras Garcés5, con l’intento di determinare l’effettivo valore della collezione di padre Crespi. Il 17 dello stesso mese, l’incaricato stilò un rapporto, articolato in diversi punti, del quale riportiamo fedelmente il 2°: “Le stele di pietra o tavolette recanti iscrizioni, nella loro globalità, non sembrano volgari falsificazioni”. Il 4° recita: “Va notato che la percentuale di oggetti autentici, una volta separata dalle falsificazioni, con l’indicazione della sua provenienza… può costituire un museo estremamente interessante, considerata la rarità e la qualità di taluni esemplari”.
Nel 1969, quando P. Crespi compì 78 anni, venne visitato da un strano personaggio di origine ungherese, Juan Moricz, che ebbe modo di vedere le sue lamine metalliche e di ascoltare alcune sue teorie, e cioè che i disegni non sarebbero altro che segni geroglifici arcaici, appartenenti ad una lingua antidiluviana madre di tutte le lingue, a riprova dei contatti tra gli abitanti del continente americano e quelli del Medio ed Estremo Oriente. Queste idee furono condivise dal peruviano Daniel Ruso e dall’italiano Gabriele D’Annunzio Baraldi6 che a Cuenca incontrò Moricz. Anche Erich von Dänicken visitò il museo; lo scrittore svizzero scattò alcune fotografie che saranno incluse in un libro a larga diffusione, intitolato “L’oro degli dei” e tradotto in diverse lingue.
Il museo riceve la sua denominazione dal fondatore e, per estensione, dai padri salesiani, ossia dalla comunità religiosa di appartenenza. Si tratta infatti di un’iniziativa esclusiva di padre Crespi, priva di alcun coinvolgimento o sostegno ufficiale da parte delle istituzioni. La raccolta ottiene notevole risonanza sia all’interno che all’esterno del paese. Soprattutto presso gli stranieri, i quali, seppure con pregiudizi, chiaramente con finalità speculative od economiche, ne documentano l’importanza. L’eco giunge sino in Europa e ancora oggi (nel 2012) vi sono persone che arrivano nella città di Cuenca chiedendo di visitare il fantastico museo di padre Crespi.7
Nel 1978, per una serie di furti, si rese necessario cedere quelle raccolte al Banco Central del Ecuador, che si rese disponibile ad acquistarle, inventariarle, riorganizzarle con le migliori garanzie, e padre Crespi fu d’accordo.
Una Commissione di specialisti in arte e archeologia antica e moderna passò al vaglio a uno a uno i reperti e catalogò i pezzi autentici, si ebbero i seguenti risultati:
- Collezione archeologica: composta da 5000 oggetti di alto valore storico-artistico.
- Collezione pittorica: composta da 1187 opere catalogate, suddivise in tele, legni, vetri, rame, marmi, pietre e cromature.
- Collezione scultorica:composta da 132 oggetti di valore e vari frammenti.
- Collezione etnografica: costituita da un insieme di ceramiche coloniali: 50 giare e 216 pezzi tra anfore, vasi ornamentali, ampolle, ecc.
La somma raccolta ($ 10.000) venne investita nella “Scuola Carlo Crespi”, rinata dalle rovine della antica fondazione Merchàn.
- Oggi, dopo un eccellente lavoro di riscoperta delle rovine di Tomebamba, si possono ammirare fondamenta, blocchi basamentali, terrazze e altri resti archeologici, nonché un museo diretto dal Ministero della Cultura dell’Ecuador che conserva gran parte dei pezzi appartenuti al museo archeologico di padre Crespi. [↩]
- Pur essendo sprovvisti di una formazione scientifica, gli huaqueros sono dotati di conoscenze pratiche che utilizzano per effettuare scavi allo scopo di commercializzare i reperti archeologici. [↩]
- Questa esperienza personale, come testimone oculare, non è la sola, vi sono altri che udirono dalle sue labbra la stessa affermazione. [↩]
- Vaso ligneo [↩]
- Padre Pedro Porras Garcés, considerato un eminente archeologo, è autore di numerose opere. Il succitato documento si trova presso l’Archivio Storico dell’Ispettorato Salesiano di Quito. [↩]
- Nato a San Prospero (provincia di Modena) ancora giovane emigra con la famiglia in Argentina, dove si laurea in Lettere e Filosofia all’università di Buenos Aires, prima di trasferirsi a San Paolo del Brasile dove vivrà fino alla morte avvenuta nel 2002. D’annunzio Baraldi fu un ricercatore indipendente, un esploratore, archeologo e un avido studioso di lingue antiche. Si interessò ai misteri non risolti dall’archeologia ufficiale. Si occupò, con particolare riguardo, dello studio di testimonianze di antiche civilizzazioni esistite in Brasile in epoche presumibilmente anche antidiluviane, come la Pietra di Ingà, scoperta nello stato brasiliano di Paraíba. Si tratta di uno dei monumenti archeologici più straordinari del mondo (consistendo in una serie di incisioni rupestri su una superficie lunga 24 metri) che secondo D’Annunzio Baraldi testimonierebbe la presenza d’una colonia ittita in america latina. [↩]
- L’autore di questa biografia è in grado di fornire la propria testimonianza al riguardo, in quanto in più di un’occasione ha avuto modo di intrattenersi con turisti europei in visita al Museo delle Culture Indigene di Cuenca, da lui diretto. [↩]