Lettera del 16/05/1938 di Don Paolo Montaldo a Don Ricaldone (Rettore Maggiore), con la quale descrive il 1° Congresso Eucaristico di Cuenca

Rev. Sig. Don Ricaldone …

… Congresso Eucaristico Diocesano che, affidato alla protezione di San Giovanni Bosco, ha superato ogni umana aspettativa, soddisfacendo largamente le nobili aspirazioni delle anime.

Noi non avremmo potuto celebrare più degnamente il duplice cinquantenario. E ci sentiamo profondamente grati a S. E. Mons. Daniele Hermida, Vescovo diocesano ed a tutto il Clero, che ci offersero la gloria d’un trionfo eucaristico per festeggiare la cara coincidenza. Mons. Vescovo indisse il Congresso con una magnifica pastorale, esaltando la figura di Don Bosco « Apostolo dell’Eucaristia » e fissando la data dal 4 al 12 maggio u. s. La popolazione rispose all’appello con mirabile entusiasmo. Non ci fu gran tempo per la preparazione; non mancarono le difficoltà; ma la fede del popolo ed il fervore del Direttore dei Cooperatori Salesiani, Dottor Don Emmanuele Serrano e dei nostri confratelli improvvisarono, in poche settimane, un bel «campo eucaristico» pel trionfo di Gesù. Le memorande giornate furono preparate da un triduo di predicazione in tutte le chiese della città, seguito da un altro più solenne che doveva tenersi nel Santuario di Maria Ausiliatrice e si dovette invece celebrare all’aperto nel « Campo Eucaristico » per non privare la maggior parte delle 15.000 anime accorse della parola di Dio prodigata in forma apostolica, elegante e suggestiva dal celebre P. Ramòn Gavilanes, Provinciale dei Mercedarii. I vibranti discorsi da lui tenuti e gli altri principali atti del Congresso furono trasmessi per radio all’Equatore, ed a tutto il Continente, da una potente stazione radio, installata espressamente.

A « Campo eucaristico» fu destinato il luogo più adatto e più spazioso della città: l’ampio cortile aperto tra il Collegio Salesiano « Cornelio Merchàn » e la Casa centrale delle Missioni. Sotto i vasti portici che lo circondano s’innalzarono capaci gradinate che, distribuendo ordinatamente la folla, gli diedero l’aspetto di un sacro anfiteatro. Una croce monumentale, di 25 metri di altezza, dominava dall’altare tutto lo spiazzo, facendone un immenso tempio. E fu questo tempio che offerse i più grandiosi spettacoli. Fedeli devoti lo gremirono a tutte le funzioni, rese più solenni dalla presenza dei Vescovi di Cuenca, Riobamba, Ibarra, Guayaquil e del nostro Vicario Apostolico di Méndez e Gualaquiza. Il programma musicale venne affidato alla nostra scuola di canto formata dagli studenti di filosofia, dai novizi e da un scelto numero di fanciulli; il servizio d’ordine, ai nostri giovani Esploratori. Ben rappresentate le nostre Missioni dai Kivaretti di Gualaquiza, che interpretarono con ammirabile maestria la musica del Perosi, suscitando nel pubblico le più dolci emozioni. Innumerevoli le confessioni nel « Campo Eucaristico», nel santuario di Maria Ausiliatrice e nelle parrocchie e chiese cittadine. Oltre centomila anime tennero occupati in quei giorni tutti i sacerdoti della Diocesi. Di Comunioni ne abbiamo distribuito oltre centocinquantamila: quarantacinquemila solo nel « Campo Eucaristico»!

La prima giornata del triduo fu particolarmente dedicata ai fanciulli: circa seimila ricevettero per la prima volta il Pane degli Angeli! Venti sacerdoti impiegarono più di un’ora a comunicare la massa. Alla chiusura intervenne l’Ecc.mo Nunzio Apostolico, Mons. Efrem Forni, accolto con delirio di entusiasmo all’ingresso della città, ed accompagnato processionalmente dal popolo al «Campo Eucaristico», ove l’attendevano i quindicimila Congressisti. Il ricevimento fu degno del Rappresentante del Papa. L’aria tutta risonava di evviva al Papa, al Nunzio, al Congresso, a Don Bosco.

Il 12 giugno, fu proprio l’apoteosi di Gesù Sacramentato! Messe e Comunioni dalle quattro del mattino fino a mezzogiorno. Al solenne pontificale celebrato dall’Ecc.mo Nunzio Apostolico nel «Campo Eucaristico» e alla Messa campale di mezzogiorno nell’« Avenida Solano » l’affluenza dei fedeli raggiunse proporzioni inaspettate. Ma come descrivere la processione finale che mosse dall’« Alameda » in un tripudio di gioia e d’amore?

Circa centomila persone assistettero alla grandiosa sfilata, al trionfo eucaristico del divino Prigioniero, che da qualche anno non poteva uscire dal suo carcere di amore, dal suo sacrario di confidenza, dal suo tabernacolo di benedizione! Dalla terrazza dell’Istituto « Cornelio Merchan » il Nunzio apostolico levò l’ostensorio a benedire quel mare di folla coll’Ostia santa!

E la folla, dopo aver offerto l’omaggio del cuore a Gesù Eucaristico volle ricambiare il Nunzio dell’onore recato al Congresso colla sua presenza, tributando al rappresentante del Papa due solenni manifestazioni in cui furono consacrate dai più nobili propositi le conclusioni delle varie sessioni sulla assistenza alla santa Messa, sulla Comunione frequente, sulla intensificazione della sacra predicazione e l’insegnamento della dottrina cattolica, sulla cura delle vocazioni sacerdotali e la formazione del Clero. Il Nunzio benedisse il promettente fervore incoraggiandolo colla sua paterna autorevole parola.

Ma io non posso finire senza richiamare l’attenzione sui nostri 135 Giovani Esploratori che prestarono servizio d’onore per tutta la durata del Congresso. Essi si attirarono l’ammirazione ed il plauso di tutti.

L’ultimo giorno del Congresso poi vollero coronare il loro primo anno di fondazione con la benedizione della bandiera del battaglione e di un gagliardetto che si degnò di impartire lo stesso Nunzio Apostolico dopo la Messa pontificale, alla presenza degli altri cinque Vescovi Equatoriani.

Il rito religioso fu seguito dal giuramento degli Esploratori alla bandiera nazionale e dal canto dell’Inno della Patria, mentre sfilavano al bacio del vessillo. Con simpatico gesto i cari giovani avevano spontaneamente sacrificato per parecchi giorni le loro piccole ghiottonerie per aver l’onore di provvedere a proprie spese le ostie necessarie alla Comunione di tante migliaia di persone che si sarebbero accostate al Banchetto Eucaristico nei giorni del Congresso. Un testimonio dei loro piccoli sacrifici asserisce che molti di quei ragazzetti (quasi tutti di condizione miserissima) non solo rinunciarono a caramelle, gelati, dolci, ma perfino al pane e al caffè e latte della colazione. La Commissione organizzatrice del Congresso, a conoscenza di questo bel gesto, propose una medaglia d’oro al merito al Battaglione «Esploratori D. Bosco» e la medaglia venne apposta alla bandiera del Battaglione dall’Avvocato Luigi Cordero Crespo Toral. Il giorno della chiusura, saltarono perfino il pranzo per partecipare alla processione. Che le pare, amato Padre ? Giovani così buoni, forti e generosi dànno le migliori garanzie dell’avvenire!

Li benedica in modo speciale insieme a noi tutti; e mi creda suo aff.mo in C. J.

Cuenca-Equatore, 16-V-1938.

Sac. PAOLO MONTALDO, Salesiano.

Don Carlo Sacerdote (Parte Terza)

>>CONTINUA DALLA PARTE SECONDA

2008-04-15 11.59.52
Don Carlo cinquant’anni dopo
P. CRESPI JOVEN
Don Carlo giovane Sacerdote

All’inizio del 1967, nell’anno del suo 76° compleanno, consumato da un’intensa vita di lavoro e sacrificio, padre Crespi si apprestava a celebrare solennemente il Giubileo sacerdotale.
Così commentò l’avvenimento il giornale El Universo di Guayaquil in un articolo pubblicato il 2 gennaio: “Benemerito sacerdote compie 50 anni di apostolato esemplare”. E prosegue in questi termini: “La cittadinanza di Cuenca, le istituzioni culturali, le organizzazioni dei lavoratori, le autorità e le forze vive dell’urbe si preparano a rendere uno speciale omaggio a uno dei sacerdoti di maggior prestigio in mezzo a noi, il Rev.do padre Carlo Crespi, Salesiano di don Bosco, in occasione della celebrazione delle sue Nozze d’Oro Sacerdotali. A tale scopo è stato costituito un Comitato Centrale incaricato di elaborare un ampio programma che avrà inizio con una grande kermesse domenica prossima, 15 corrente mese, nei locali della Casa Salesiana, ubicata nel quartiere di Maria Ausiliatrice.
D’altra parte, la cittadinanza in generale, senza distinzione di classe e di credo politico, sta rispondendo positivamente alla pubblica raccolta di fondi, iniziata sotto i migliori auspici, con lo scopo di sostenere la grande opera sociale e umana del Rev.do padre Carlo Crespi, noto religioso e missionario salesiano italiano, insediatosi nel nostro paese, e in special modo a Cuenca, all’incirca 45 anni fa.
Le opere, di questo religioso che compirà proprio in questi giorni 50 anni di fecondo sacerdozio, sono l’istituzione delle organizzazioni sociali di carità e tutela dei bisognosi, in particolare della Scuola Cornelio Merchán, nella quale circa un migliaio di bambini poveri, o di scarse risorse economiche, riceve un’educazione grazie all’abnegazione e al sacrificio di questo eccellente sacerdote salesiano che, spogliandosi di pregiudizi terreni, ha costituito in mezzo a noi un vero esempio di apostolato e di Chiesa; per questo si è guadagnato l’affetto degli abitanti di Cuenca, da conseguire un riconoscimento dall’Amministrazione comunale e da essere proclamato Figlio Illustre di questa città.
Il Giubileo d’Oro Sacerdotale di questo nobile educatore, valente archeologo e missionario infaticabile, rappresentano un avvenimento sociale e culturale, al quale si accinge a intervenire l’intera città di Cuenca, nell’intento di offrire il giusto riconoscimento del mondo conadino a padre Carlo Crespi, simbolo della fede cristiana dell’autentico popolo Azuayo”.
La Sala della Città del municipio di Cuenca ospita alcuni eventi organizzati dalle autorità e dalla cittadinanza allo scopo di rendergli pubblico omaggio. Alle celebrazioni aderiscono varie istituzioni.libro1

Tra queste il Collegio Manuela Garaicoa de Calderón, diretta da Dora Beatriz Canelos Carrasco, collaboratrice salesiana che incarica l’autore di questa biografia di partecipare a nome dell’istituto e di esprimersi così:
“La sottoscritta, in rappresentanza del Collegio Manuela Garaicoa, desidera partecipare, insieme alle altre istituzioni di questa città, alla tua gioia per le il Giubileo d’Oro Sacerdotale celebrato ieri, 29 gennaio 1967.
Cinquant’anni di opera sacerdotale sono un premio grande di Dio e, tanto più, se questi sono stati straordinariamente fecondi e colmi di cuore, al pari dei tuoi maestri, compatrioti e compagni, San Francesco di Assisi e San Giovanni Bosco.
Mezzo secolo di sacerdozio, con una pienezza che riempie tutte le minime esigenze, capace come pochi di coronare questo ideale, che tutti noi abbiamo, del ministro di Dio; giustificando, senza il minimo dubbio, la ragione e l’essenza della vita. È – ripeto – un grande premio dell’Essere Supremo l’aver noi, abitanti di Cuenca, condiviso e beneficiato delle tua feconda vita.
È con vero piacere che ci uniamo alla gioia che ti viene dall’essere stato per cinquant’anni mediatore tra Dio e gli uomini. Mediatore, ossia, scelto da Dio per parlare agli esseri umani e scelto da noi per avvicinarci a Lui. Mediatore tra Dio e il mondo, vale a dire, uomo di Dio e uomo di mondo, un uomo che ha molto di Dio”.

Le Esplorazioni nell’Oriente dell’Ecuador (parte terza da “Siervo de Dios Padre Carlos Crespi Croci …”)

>>CONTINUA DALL PARTE SECONDA

260px-Morona_Santiago_in_Ecuador_(+Galapagos).svg
Carta geografica della Provincia Morona-Santiago, dove si trova la strada El Pan-Mendez

Carlo Crespi compì viaggi nell’Oriente dell’Ecuador in molte e varie occasioni. Degno di nota fu certamente quello che realizzò nel 1928, in compagnia del Governatore dell’Azuay e di diverse autorità, al termine della quale un giornalista del quotidiano El Comercio (edito nella capitale) scrive un reportage, il cui contenuto trascriviamo qui di seguito:
“Intervistiamo il reverendo padre Carlo Crespi, missionario salesiano, ritornato dalla regione orientale di Mendez in compagnia del Governatore dell’Azuay, Daniel Córdova Toral1 nominato Ministro della Pubblica Istruzione, l’Ingegner A. Velenzuela, direttore delle Opere Pubbliche dell’Azuay e del suo seguito. L’attivo missionario, persona a noi nota per il suo costante entusiasmo, non sembra stanco per il lungo viaggio.
Lei ha viaggiato in compagnia del Signor Ministro Egüez Baquerizo?
No, il Signor Ministro dell’Oriente e i suoi accompagnatori si diressero a nord; e Córdova Toral a sud, nell’importante zona di Mendez, dove si sta lavorando da alcuni anni  per lo sviluppo di un piano di colonizzazione.
Motivo del viaggio?
Un vivo desiderio del Dottor Córdova di conoscere una zona così importante; l’impazienza dei missionari di ottenere un’ispezione del direttore delle Opere Pubbliche dell’Azuay sui lavori svolti, e il desiderio dei giornalisti, Dottor Sarmiento e Signori Talbot e Murillo, di conoscere maggiormente il problema orientale; della commissione studentesca del Collegio Benigno Malo, presieduta dal Dottor Muñoz e composta dai Signori Malo; e della commissione operaia composta dai Signori Cisneros e Nuñez, tutti spinti dal desiderio di collaborare all’opera patriottica della colonizzazione orientale.
Il viaggio è stato molto rapido?
Rapidissimo. Questo è il resoconto cronologico del viaggio:
– 14 marzo: Partenza da Cuenca e viaggio in auto per 16 chilometri fino a El Descanso. Dopodiché, circa 40 chilometri a cavallo, con una capatina nel simpaticissimo cantone di Paute e nel pittoresco villaggio di Guachapala, fino ad arrivare alla Casa Missionaria Salesiana nella parrocchia di El Pan, oggetto di molteplici attenzioni da parte delle autorità civili e religiose.
– 15. Partenza da El Pan lungo la mulattiera che i salesiani stanno costruendo sotto la direzione di padre Albino del Curto. Pranzo alla fattoria del General Ribadeneira e arrivo alla confortevole stazione di posta di Pailas alle 5.30 del pomeriggio.
– 16. Partenza a cavallo da Pailas e arrivo alle abbondanti acque del rio Negro, al km 50 della mulattiera; breve sosta per il pranzo e proseguimento a piedi lungo una comoda pista, sino alle importanti colonie di Santa Elena e Copal, in piena zona orientale, ad un’altitudine di 800 metri: panorami stupendi, clima invidiabile, prodotti eccellenti.
– 17. Partenza da Copal alle 7, spuntino alle 9 e mezzo nell’azienda del Signor Ochoa, proseguimento della marcia. Altra sosta presso l’impresa del Signor Pesantez, attraversamento del Partidero e discesa nella valle di Mendez. Alla una, primo incontro con i bambini jivaros della Scuola Salesiana, ove sventola una bandiera ecuadoriana; più sotto, vicino al fiume Namangosa, incontro con folti gruppi di shuar e coloni che sparano colpi di fucile in segno di saluto, mentre si passava il colossale ponte sul fiume Namangosa, ultimo incontro nelle vicinanze della Missione con una folla di coloni e con le bambine delle reverende madri salesiane che offrirono fiori alle autorità. Presso la Casa Missionaria si organizza un’imponente parata, composta da mille persone; un vero e proprio battaglione pronto a versare fino all’ultima goccia di sangue in difesa della patria.
– 18. Giornata di riposo presso la Casa Missionaria. Ricevimento dei coloni e degli shuar.
– 19. Festa della Bandiera. Solenne consegna alla Colonia di Mendez di una bandiera artistica, donata dal Collegio Benigno Malo di Cuenca. Un grandioso discorso del reverendo padre Conrado Dardé, con una struggente risposta del Dottor Córdova Toral. Nel pomeriggio premiazione degli shuar più progressisti e fedeli alla Missione. Organizzazione di una grande battuta di pesca sul fiume Cuchanza a cura dell’Ingegner Valencia.
– 
20. Visita delle abitazioni dei coloni e degli importanti lavatoi dell’oro del Paute, gestiti dal Signor Villagomez. Pranzo nella Tenencia Política.
– 21. Visita delle colonie dell’Upano, condotta dai membri del Collegio Benigno Malo, dalla confederazione operaia e da Sarmiento. Il Signor Governatore riceve gli shuar e i coloni. L’Ingegner Valencia continua la meticolosa revisione delle strade, delle opere d’arte e dei conti.
– 22. Solenne premiazione dei coloni più progressisti. Saggio degli allievi shuar e coloni dei vari istituti, visita del campo sperimentale dotato di stazione meteorologica, di forni di calce, tegole e mattoni, della scuola di lavori manuali fondata dalle madri salesiane, dell’Ospedale Quito, recentemente inaugurato. Preparativi per il viaggio di ritorno.
– 23. Partenza dalla casa missionaria, arrivo a Copal, alle due del pomeriggio. Viaggio eccellente e veloce.
– 24. Partenza da Copal. Arrivo a Rio Negro a mezzogiorno, ricevimento solenne dei lavoratori stradali con esplosione di cento colpi di dinamite e conseguente eliminazione di diversi metri cubi di roccia che ostacolano il passaggio sulla Loma del Incienso.
– 25. Partenza a cavallo da Rio Negro e arrivo a El Pan; mattino piovoso, uggioso; pomeriggio splendido: 50 chilometri in otto ore, accoglienza trionfale da parte del Capo Politico del cantone di Paute, delle autorità e della popolazione.
– 26. Partenza da El Pan, ricevimento solenne a Guachapala, pranzo nella casa del Capo Politico, Signor Ordóñez. Ingresso trionfale a Paute con parata degli alunni delle scuole e autorità. Alle cinque del pomeriggio, partenza rapida lungo la strada per El Descanso: accoglienza indimenticabile; il rettore dell’università, l’amministratore, il Capo Zona, il Consiglio Municipale, tutte le autorità, i notabili di Cuenca salutano festosamente gli esploratori dell’Oriente, mentre le corporazioni operaie e gli studenti del Collegio Benigno Malo elevano acclamazioni di gloria.
I visitatori hanno avuto una buona impressione?
Eccellente. La natura lussureggiante, il grande lavoro svolto lungo il cammino, la colonia, l’opera di civilizzazione dei missionari formano un insieme armonico di attività che impressionerebbe anche il peggiore dei pessimisti.

Schermata 2015-04-30 alle 15.51.56
1917 Lavori di costruzione della strada Pan – Mendez – Quarto da destra, vestito di nero, don Albino Del Curto

Quando sono stati avviati i lavori della strada che collega El Pan a Mendez?
L’idea di costruire una strada venne inizialmente a padre Albino del Curto nell’anno 1915, quando, nell’inaugurare la Missione di Mendez esclusivamente tra gli shuar, sentì la necessità d’intraprendere una grande opera di colonizzazione. Monsignor Costamagna stanziò i fondi per la prima tratta. Superate enormi difficoltà e data l’importanza della strada, il General Ribadeneira, Capo Zona di Cuenca, e la Società di Studi Storici e Geografici,2 ottennero piccoli sussidi governativi. I missionari, convinti che una buona mulattiera non si può realizzare senza fondi, firmarono, il 12 settembre 1925, un contratto con il governo e quindi avviarono i lavori con una costanza e un’energia davvero ammirevoli.
La nuova strada diventerà una carrozzabile?
No. Per il momento, non possiamo definirla in questo modo. La strada da El Pan a Mendez è solo una comoda via di penetrazione a cavallo; il contratto si riferisce a una mulattiera lunga 75 chilometri ed è suddiviso in due parti: la prima consiste nella ristrutturazione di un tratto di 30 chilometri che collega El Pan a Pailas; la seconda nella costruzione di 45 chilometri di strada da Pailas a Mendez.
La strada sarà terminata a breve?
Se il sostegno della Direzione delle Opere Pubbliche continuerà ad essere così determinante, confidiamo di riuscire a terminarla nel 1929. Negli ultimi due anni, abbiamo aperto 45 chilometri di strada veloce e comoda e abbiamo ristrutturato 10 chilometri da El Pan a Pailas; inoltre, abbiamo scavato nella roccia 16 chilometri, da Pailas fino al rio Negro e Loma del Incienso, in maniera da garantire il traffico su bestie da soma lungo una tratta di 50 chilometri nel cuore della regione orientale.
Questi 50 chilometri di mulattiera sono totalmente praticabili?
Per i coloni dell’Azuay che entrano nell’Oriente è una vera e propria strada, e così sono abituati a definirla a paragone delle pessime piste che collegano i diversi cantoni dell’Azuay; noi missionari salesiani, ci impegneremo a fondo e prima di abbandonare la linea sentiamo il bisogno di migliorare alcuni punti di gradiente eccessivi lungo la discesa di Cerro Negro, nonché altri tratti di strada della zona boschiva umida dell’Oriente che tendono a diventare fangosi a causa delle continue precipitazioni. Inoltre, sarà opportuno insaccare la linea nei tratti lavorati prima della firma del contratto, evitando di usare la dinamite.

Schermata 2015-04-30 alle 15.42.04
Tratteggio della strada El Pan – Mendez

A parte questi inconvenienti, la realizzazione della linea di Mendez procede?
Non intendo anticipare il giudizio autorevole dell’Ingegner Valencia; tuttavia, la valutazione di tutti i membri della delegazione è stata positiva; non vi sono parole per descrivere l’opera dell’eroe di quelle foreste, padre Albino del Curto che, senza ricevere un centesimo e per puro spirito umanitario, passa la vita in isolamento, lavorando nella regione. D’altro canto, l’intera Missione Salesiana dell’Ecuador, composta da 50 missionari, è decisa a non scoraggiarsi fino a quando non avrà consegnato alla colonia di Mendez una comoda e sicura via di penetrazione.
Quanto deve ancora il Governo?
Il Governo ha stanziato sinora quarantottomila sucre e ne deve ancora investire sessantaduemila, con erogazioni mensili. Inoltre, disponiamo di fondi sufficienti alla realizzazione di un grande ponte sul fiume Namangosa, raccolti grazie al Comité Patriótico Orientalista de Señoras di Guayaquil.
A che punto sono i lavori del ponte?
Come Lei sa, appena raccolti i fondi, nel 1924 il reverendo Albino del Curto ha costruito un ponte provvisorio al servizio della colonia. La struttura ha svolto un’importante funzione di collegamento fino all’aprile del 1927. A causa delle enormi piene dei fiumi e dei colossali disboscamenti che hanno interessato per chilometri foreste e intere zone alberate, il ponte ha subito diversi danni; le acque hanno rimosso le tavole, mentre è rimasto intatto l’ormeggio dei cavi sulla riva sinistra. Dal momento che non era possibile lasciare una zona di tale importanza priva di vie di comunicazione, si è provveduto prontamente alla costruzione di un altro ponte pedonale, da utilizzarsi anche per la posa di quello definitivo. Si tratta di un ponte di ferro lungo 65 metri che sarà sostenuto da otto cavi da un pollice, con ancoraggi in muratura. Il lavoro di costruzione del ponte è stato affidato al fratello Pancheri che già conosciamo.

Schermata 2015-05-01 alle 11.02.42
Rio Negro
Schermata 2015-05-01 alle 11.01.26
Ponte sul Rio Negro

Lungo la strada si trovano altri ponti importanti?
I principali sono i ponti sul fiume Ghiru, lungo 45 metri, sul rio Negro, lungo 30 metri, e un’altra dozzina di ponti, lunghi da 10 a 20 metri, che attraversano vari fiumi e canyon.
Si è parlato anche di una linea telefonica?
Certamente. Il 24 maggio dell’anno scorso, è stato inaugurato il primo tratto di 60 chilometri, da Paute fino alla stazione di posta di Rio Negro. Sperimentata la possibilità di una linea telefonica in pieno Oriente malgrado le forti bufere e le piogge frequenti, il prossimo 10 agosto confidiamo di riuscire ad inaugurare il servizio telefonico fino alle colonie più avanzate di Mendez, con il proposito di raggiungere il fiume Yaupi e Puerto Proaño, in prossimità del confine peruviano.
Si è parlato molto della colonia di Mendez, del suo sviluppo e della sua importanza. Si è forse esagerato?
Avrà letto sui giornali il giudizio espresso in proposito dal Dottor Córdova Toral, attuale Ministro della Pubblica Istruzione. Posso solamente dirle che il 19 marzo, mentre veniva alzata la bandiera nazionale sul suolo orientale, la piazza della Missione ha rappresentato un insieme di forze davvero commovente. Le centinaia di coloni presenti con mogli e figli, felici della propria condizione, manifestavano chiaramente che a Mendez esiste ormai una volontà decisiva, un pacifico esercito di uomini che pare ripetere con sacro orgoglio: “Questa è la nostra terra, da qui non si passa”.
Dunque Mendez può essere considerata una vera e propria città?
Né una città, né un vero villaggio. Sulle alture che costellano la missione si tengono grandi riunioni di shuar e oltre 600 coloni sono stanziati ai lati della strada e della valle di Paute. I nuclei di coloni più consistenti vivono a Santa Elena e a Copal; 40 famiglie, più o meno, e altre 70 famiglie abitano nei dintorni della Missione Salesiana e della Tenencia Política.
La colonia esiste da molti anni?
Diversi tentativi di colonizzazione, fatti nel 1919, sono falliti miseramente per mancanza di strade. Il vero sviluppo si è avuto nel 1925, al termine della costruzione della strada che collega El Pan a Mendez.

Da questa intervista possiamo arrivare ad alcune conclusioni:
In primo luogo, che l’Ecuador non aveva vie di accesso a questa regione tanto estesa e che le prime strade stabili le costruirono i missionari salesiani, tra i quali il più attivo fu padre Albino del Curto.
In secondo luogo, che vi fu un forte desiderio degli ecuadoriani di sostenere questo opere, come lo si deduce dalla collaborazione patriottica di un comitato femminile di Guayaquil, dalla partecipazione di studenti, di lavoratori, cosi come del Centro Studi Storici e Geografici, che aveva tra i suoi membri noti pregevoli scrittori che avevano pubblicato opere che sostenevano la necessità della colonizzazione e della costruzione di strade, tra cui Remigio Crespo Toral, Luis Cordero e Rafael Maria Arízaga.
In terzo luogo, si evidenzia l’affetto che Carlo Crespi nutriva per la regione orientale dell’Ecuador e per la sua integrazione nel contesto nazionale; sentimento che si amplifica nel corso della sua esistenza e che funge da esempio per molte persone. In ogni situazione risaltò il ruolo importante da lui svolto per la comunità salesiana.
Da ultimo, analizzando l’intervista, possiamo concludere che padre Crespi ebbe idee molto chiare e che fosse in grado di fornire informazioni precise sin nei dettagli e, che in generale ponesse un’intelligenza superiore e un’indomita volontà nel servire la sua nuova patria e nel guidare il suo sviluppo, ponendo maggior attenzione ai più bisognosi d’istruzione e di spiritualità cristiana.
I nomi citati da padre Crespi corrispondono a diversi delle varie personalità che promuovevano queste opere. Tra costoro, Francisco Talbot, membro del Centro di Studi Storici e Geografici; Manuel Muñoz Cueva ed Emilio Murillo, professori del Collegio Benigno Malo. Anche se l’opera dei salesiani, a detta di tutti, fosse ben orientata, ebbe critiche provenienti da settori che non capivano questi ardui lavori e che, a loro volta, pretendevano risultati immediati; soprattutto nel processo di integrazione degli shuar alle abitudini del mondo occidentale. Dopo la pubblicazione di un articolo a questo proposito, Carlo Crespi scrisse al giornale El Día una “lettera aperta” che il 2 luglio 1928 venne commentata da un giornalista de El Comercio di Quito, in questi termini: “In questo scritto palpita la voce sincera della verità… Non c’è una sola frase che riveli indignazione e collera: una soave e magnanima serenità mantiene il tono tranquillo, dal principio alla fine… Forse non è necessaria alcuna difesa, poiché le accuse mosse sono cadute nel vuoto”. Nelle sue riflessioni padre Crespi afferma che “i missionari salesiani sono convinti che solo dopo molti anni e molte generazioni riusciranno a colonizzare l’etnia shuar… Non si arriverà a nulla di positivo se non attraverso una perfetta, cordiale e sincera unione fra le autorità civili, religiose e i coloni; uniti contro il nemico comune: la mancanza di vie di comunicazione”3

Schermata 2015-05-20 alle 17.46.48
La chiesa di Macas oggi

Energia elettrica a Macas e altri servizi
Nel 1932, a Macas, porta con sé una turbina, una dinamo, cavi metallici e altre attrezzature indispensabili all’installazione dei servizi di illuminazione elettrica. Tutto fu trasportato a spalla fino a El Pan e, da lì, all’Oriente, coprendo una distanza superiore ai 120 km. Il 16 settembre si inaugurò il servizio di illuminazione. L’anno seguente entrarono in funzione anche una piallatrice e una segatrice.
Nel 1934, insieme ad altri accompagnatori, si trovò sulla cordigliera del Cutucú, impegnato in una difficile salita e discesa. Rimase presso le missioni orientali per un certo periodo; vi furono delle occasioni in cui fece delle incursioni a scopo scientifico, senza però omettere di ideare e realizzare azioni missionarie. I superiori lo assegnarono definitivamente a Cuenca, al servizio della quale rimane sino alla morte. Tra i suoi appunti abbiamo trovato una relazione sulle missioni e un programma di attività da realizzare nel 1928, da cui emerge la necessità di realizzare o di ristrutturare costruzioni in molte missioni: Macas, Mendez, Indanza, Gualaquiza, Aguacate, Cuenca, e calcola inoltre che per realizzare tutto ciò fossero necessari 300.000 lire. Accanto a queste inquietudini, ne espresse altre di carattere spirituale, e affermò che lo preoccupasse la penetrazione del protestantesimo nei territori orientali dell’Ecuador.
Delle missioni si occuparono altri sacerdoti e, coloro che conobbero padre Crespi, ricevettero i suoi consigli e furono contagiati dal suo entusiasmo, dal suo dinamismo e dalla sua intraprendenza. Egli ebbe sempre nostalgia dell’Oriente e raccontò la vita e l’attività svolta per la colonizzazione e per i suoi amati “piccoli jivaros”.

  1. Daniel Córdova Toral, uomo politico liberale, nato a Machala nel 1886, muore a Cuenca nel 1958. I suoi antenati e i suoi discendenti sono cuencani. Governatore dell’Azuay, presidente del Municipio di Cuenca, direttore degli Estudios del Azuay, professore di filosofia del Collegio Benigno Malo, esercita il rettorato in vari periodi. Nel 1928 è nominato governatore e quindi Ministro dell’Istruzione dal presidente Isidro Ayora. Nel 1941 è presidente della Giunta Patriottica istituita a tutela dell’integrità territoriale dell’Ecuador. Detiene la cattedra di economia politica e di diritto internazionale presso l’Università di Cuenca. Deputato in diverse legislature per le province Azuay e Cañar, assume la carica di vicepresidente della Camera dei Deputati nel 1931 e la presidenza del governo di Galo Plaza Lasso, nel 1951. Diventa anche senatore e vicepresidente della Repubblica in sostituzione di Abel Gilbert. Durante le sue gestioni, nascono a Cuenca la Scuola Normale Manuel J. Calle e gli Istituti Luis Cordero e Tres de Novembre []
  2. Fondato nel 1915, sotto la direzione di P. Giulio Maria Matovelle, il Centro Studi Sorici e Geografici di Cuenca si prefigge, tra i principali obiettivi, l’efficace integrazione dell’Oriente Ecuadoriano nella vita nazionale, quale unico mezzo di difesa dei territori ecuadoriani. A tale fine, riceve l’incarico di realizzare alcune opere in collaborazione con i padri salesiani. []
  3. “L’esposizione di un missionario”, El Comercio, Quito, 2 luglio 1928. Ritaglio conservato nell’Archivio Storico dell’Ispettorato Salesiano. []

Le Esplorazioni nell’Oriente dell’Ecuador (parte prima da “Siervo de Dios Padre Carlos Crespi Croci …”)

P. Crespi in piroga_0011
P. Crespi con P. Del Curto in piroga con coloni e indios shuar

Con l’incarico ricevuto cominciò la raccolta degli oggetti per l’Esposizione Missionaria Mondiale, da celebrarsi a Roma, in occasione dell’Anno Santo (1925). Terminata a Castelgandolfo, l’Esposizione di trasferì a Torino per commemorare solennemente i primi cinquant’anni delle missioni salesiane. Per portare a termine questa fatica, P. Crespi mise in pratica tutte le sue conoscenze universitarie, soprattutto nella raccolta dei minerali, della flora e della fauna. Tuttavia andò oltre e cominciò a entusiasmarsi per i temi etnografici e archeologici che, in seguito, assorbiranno molto tempo della sua lunga vita.

Schermata 2015-05-21 alle 17.30.51
Vista sulla chiesa centrale di Gualaceo

Dopo un primo percorso di tre mesi, che iniziò da Cuenca, don Carlo passò per Gualaceo e Indanza fino ad arrivare al rio Santiago, percorse la valle del rio San Francesco, la laguna di Potococha, Tre Palme, culebrillas, Potrerillos (la località più in alto, a 3800 metri s.l.m.), il rio Ishpingo, la collina di Puerco Grande, Tinaajillas, Zapote, la collina di Puerco Piccolo, Pian di Miracolo e Pianoro. In ognuna di queste località raccolse materiale per poi seccarlo e inserire nelle diverse rcollezioni. Tutto catalogò e registrò in vari taccuini da campo e documentò con numerose fotografie.
Fece una seconda esplorazione lungo la Limon, quella di Peña Blanca e Tzaranbiza, e lungo il sentiero di Indanza.
Come si può dedurre, le esplorazioni di don Carlo nell’Oriente ecuadoriano furono difficili perché vi erano solamente delle mulattiere, oltre a precipizi, condizioni climatiche inospitali, belve pericolose, serpenti mortali e malattie tropicali e, a tutto ciò, poi, si aggiungeva il pericolo di attacchi da parte degli indomiti abitanti dell’Oriente.
Superando tutte queste difficoltà, don Carlo riuscì a raccogliere 600 varietà di coleotteri, 60 uccelli imbalsamati dal bellissimo piumaggio, muschi, licheni e felci. In totale Padre Crespi riescì a studiare 200 specie locali, assieme al professor Roberto Bosco, il quale esaminò non soltanto i campioni raccolti da lui, ma anche quelli raccolti dai botanici Allioni e padre Sodiro, trasformando il suo lavoro in una tesi di dottorato, per laurearsi  in Scienze Naturali presso l’Università di Torino nel 1938. Utilizzando le sottoclassificazioni dei luoghi percorsi dai naturalisti, seguendo P. Sodiro, trovò 21 felci della zona tropicale che si trova sotto gli 800 metri s.l.m.; 72 a quella sub-tropicale che si trova tra gli 800 e i 1500 metri s.l.m.; 102 alla zona sub-andina che si trova tra i 1500 e i 3400 e 19 a quella andina, che supera i 3600 metri s.l.m.
In questo stesso periodo P. Crespi cominciò ad elaborare un docmento sulla cultura shuar e a scrivere articoli e saggi sull’Oriente.
Le specie maggiormente degne di nota studiate da Roberto Bosco, e che qui si riportano, perché alcune hanno preso il nome da padre Crespi, sono le seguenti:

  • Loxomopsis Lehmannii Hier, della specie Glabra, individuata a Indanza a 900 m s.l.m..
  • Loxomopsis Lehmannii Hier, della specie Crespiana, individuata nei pressi del Plan de Milagro, a circa 1.500 metri di altitudine.
  • Dryopteris Crespiana, individuata sul Plan de Sapote, a circa 2.100 metri di altitudine.
  • Dryopteris Vaccanea, individuata sul Plan de Sapote, a circa 2.100 metri di altitudine.
  • Polybotria Crespiana, individuata a Indanza, a circa 950 metri di altitudine.
  • Asplenium Mattirolli, individuata sul Plan de Milagro, a circa 1.500 metri di altitudine.
  • Jamesonia Crespiana, individuata a Gualaceo e Culebrillas, tra i 2.200 e 2.500 metri di altitudine.
  • Adsintum Crespianum, individuata a Indanza, a circa 960 metri di altitudine.
  • Polypodium Tonelli. Diversi esemplari sono localizzati sul Plan de Sapote e sul Plan de Milagro, tra i 2.100 e i 1.500 metri di altitudine.
  • Polypodium Allioni, localizzata sulle colline di Potrerillos (3.500 m) e sul Plan de Sapote (2.100 m).
  • Polypodium Crespianum, localizzata sul Plan de Sapote, a 2.100 metri di altitudine.
  • Blechnum Volubile Kaulf, della specie Milagrense, individuata Plan de Milagro, a 1.500 metri di altitudine.
  • Gleichenia Salesiana, individuata sul Plan de Sapote e sul Plan de Milagro.
  • Gleichenia Crespiana, individuata sul Plan de Milagro.

Queste ed altre specie sono conservate nell’erbario del Liceo Pedagogico don Bosco di Torino.
Come si evince da quanto appena espresso, fin dai primi itinerari, Carlo Crespi non si limita ad ammirare, ma raccoglie, classifica, appunta, fotografa, filma e documenta qualunque cosa attragga le sue attenzioni di studioso. Questo è quel mondo magnetico che già gli vibrava nel cuore ancor prima di arrivarci e del quale così scriveva il 19 marzo del 1922: “In questi giorni una voce nuova, insistente, mi suona nell’animo, una sacra nostalgia dei paesi di missione; qualche volta anche per il desiderio di conoscere in particolare cose scientifiche. Oh Signore! Sono disposto a tutto, ad abbandonare la famiglia, i parenti, i compagni di studi; il tutto per salvare qualche anima, se questo è il tuo desiderio, la tua volontà”.
Anche gli indios, che i suoi confratelli fino a quel momento hanno considerato soprattutto come selvaggi da restituire a salvezza, sono da lui considerati in un ottica antropologica e culturale, con il dovuto rispetto per le loro tradizioni, usi e costumi. A conferma di tale atteggiamento nei confronti dei Kivaros, riportiamo il brano che segue, da lui scritto dopo un’esperienza fatta tra gli stregoni di Arapicos.
“Molto si è parlato delle difficoltà di questa missione ed io non voglio nascondere che il Kivaro, il quale non fu mai dominato militarmente, né dagli ìncas, né dagli spagnoli, né dagli ecuadoriani, è fiero e superbo della sua libertà e dimostra quasi un disprezzo per tutto ciò che non è esclusivamente retaggio della sua tribù. La prodigiosa fertilità della terra, che abita, ed il clima invidiabile, lo rendono quasi sprezzante della nostra opera caritativa. La libertà stessa dei costumi e la mancanza di un culto lo rendono quasi insensibile alle dolcezze della nostra religione.
 Però, più si studia da vicino, e più ci si convince che, pure essendo un albero silvestre, su di lui si potrà certamente innestare con efficacia il buon virgulto di Cristo.
La festa del Corpus Domini dell’anno scorso mi trovavo in missione tra i selvaggi1 di Arapicos. Nella sera precedente era arrivato alla Kivaria del Ciriapa un loro capo; mi accorsi che il poveretto era infermo e che già gli stregoni si tenevano pronti per curarlo. Per non destare sospetti, facendomi vedere molto stanco, stesi per terra alcune foglie di banano, mi ci sdraiai sopra, facendo finta di dormire. Gli stregoni, credendomi addormentato, spenti i lumi, incominciarono la loro cura a base di invocazioni, di scongiuri, di strilli, e di sputi che durarono tutta la notte. Verso l’aurora, cessato l’effetto del narcotico, se ne andarono; ma io rimasi così seccato e sopratutto così inorridito da tali pratiche superstiziose e selvagge, che, fatto innalzare l’altarino per la Santa Messa, tenni loro una lunga istruzione sulla necessità di usare delle vere medicine per guarire, e nei casi difficili di ricorrere alla Vergine Santissima Ausiliatrice. Prima di partire, regalai loro alcune immagini della Celeste Patrona che io, con fede viva, avevo fatto deporre sulla tomba di San Pietro in Roma.
Verso sera ripartii per un’altra kivaria, e, radunati i bambini, incominciai ad istruirli sulla Passione di Cristo. Intanto s’era fatto scuro. Sorbito un po’ di brodo, mi ero sdraiato per terra stringendo la corona del Rosario. Ma non potevo pigliar sonno. Avevo un triste presentimento. Infatti, verso mezzanotte odo in lontananza una voce lugubre, straziante e prolungata di donna: « Il Kivaro Mascianda sta per morire! ». Sveglio i selvaggi; una donna sale all’aperto, e, mettendo le mani alla bocca in forma di tromba, intreccia un dialogo.
 Che era successo? Uno degli stregoni, malgrado la mia predica, volle sfidare la fede, e, fatti i soliti scongiuri, appena ingoiato il narcotico, ebbe un assalto epilettico, stramazzò al suolo tramortito con la bocca spalancata, con gli occhi fuori dell’orbita. Le donne spaventate gridavano come ossesse; io volevo discendere per assistere l’infermo. La mia fedele guida si rifiutò assolutamente d’insegnarmi la strada, dicendomi che gli stregoni mi avrebbero accusato di essere io la causa di quella morte, e che forse avevano ordito un tradimento. Consigliai di far trasportare l’infelice alla casa paterna, e, alla prima aurora discesi. Quale non fu la mia meraviglia, quando, penetrando all’improvviso nella casa del sinistro, vidi che i selvaggi avevano raccolto tutte le immagini dell’Ausiliatrice, e che, appesele ad una stuoia, le avevano circondate di fiori ed illuminate con torce di resina forestale.
 Mentre le donne attendevano alle faccende domestiche, due selvaggette con le mani giunte pregavano come avevo loro insegnato al mattino precedente. A questa vista rimasi commosso. Non potei trattenere le lacrime. Invitai i due angioletti ad Innalzare una fervida preghiera alla Vergine. Pochi minuti dopo giungeva la notizia che lo stregone era rinvenuto. La Madonna aveva voluto fare la grazia completa. Lo stregone, da quel giorno, si fece amico sincero dei Missionari
.
Carlo Crespi, da Cuenca, si spinse varie volte nella foresta. Alla fine di novembre, fu a Guadalaquiza. (Da Sigsig sono 75 chilometri di mulattiere, da percorrersi a dorso di mulo). Già vi erano alcuni centri abitati e piccoli avamposti missionari: Granadillas, Chigüinda, Aguacate, Rosario, Cuchipamba. A Gualaquiza la missione era appollaiata su una collina, disponeva di una cappella, di una residenza semplice, un ricovero per shuar, una piccola scuola e minuscoli laboratori di carpenteria e meccanica. Poiché per don Carlo era indispensabile aprire strade e costruire ponti, la sua opera non fu soltanto religiosa, ma introdurrà elementi culturali finalizzati al progresso. Mediante gli aiuti governativi ricevuti dall’Italia e dall’Ecuador, egli importò a più riprese dal suo paese natale utensili e macchinari, approfittando di ogni occasione favorevole per procurare materiali; come nel 1927, quando proiettò il suo documentario ad Ancón, nella penisola di Santa Elena (già provincia del Guayas) su invito della compagnia anglo-ecuadoriana Oil Fields. In tale circostanza vide alcuni cavi di acciaio, utili per la costruzione di un ponte sul fiume Paute, nell’Oriente; chiese di poterli acquisire ottenendone, non solo una risposta favorevole, ma anche una somma in denaro e i mezzi per effettuare il trasporto. Più difficile si rivelò il trasporto dal terminale ferroviario di Chanchán (nella provincia del Chimborazo) fino alla missione di Mendez (oggi provincia di Morona Santiago). Questa impresa richiese diciassette giorni e l’utilizzo di numerose persone per le pessime condizioni dei sentieri. Tuttavia riuscì a realizzare l’opera che si era prefissa con la costruzione di un ponte largo ottanta metri. Per qualche tempo diresse la missione di Macas. Tuttavia, con o senza tale responsabilità della direzione, concentrò i propri sforzi a favore di questa popolazione indigena.

CONTINUA LA SECONDA PARTE>>

  1. Ogni qual volta nei suoi scritti ricorrerà il termine «selvaggio» egli non intende esprime un giudizio negativo, ma riferirsi al senso etimologico del termine, ovvero «abitante della selva». []

Lettera di Padre Crespi al Rettore Maggiore (Quaranta giorni di escursioni nella regione di Indanza – 24 aprile 1924 – Parte Terza)

<< CONTINUA DA PARTE SECONDA

La gran consegna.
Intanto la stanchezza si era impossessata delle mie membra, ed il sonno, rotto durante la notte da punte salienti, ci portò all’aurora del giorno seguente. Un cielo magnificamente stellato dapprima, seguito poi da una bellissima fascia rosea, con una soavissima aria balsamica della circostante foresta, mi condusse a far preparare l’altare all’aperto con lo sfoggio dei più bei tessuti provenienti dalle fabbriche milanesi. Tutti i selvaggi vollero mettersi in grande tenuta: le donne coi migliori ornamenti usati nei balli, il venerando Charupi con calzoni, camicia, gilè, giacca, e con un cappello da ciclista: il primogenito con un bellissimo elmo dei pompieri di Guayaquil, simile a quello dei corazzieri d’Italia, e tutti gli altri con corone, collari, schioppi. Non sapendo essi recitare la più semplice preghiera da soli, avevo dato una semplice consegna al capo di famiglia: – Chichachu (non parlare!) – non parlare, non ridere, non scherzare e stare attenti all’altare, perchè il buon Dio non avrebbe portato le sue benedizioni agli incauti trasgressori. Infatti il buon vecchio aveva disposto una ventina di selvaggi intorno al simpatico altarino. Toccato il campanello, tutti drizzarono gli occhioni curiosi sulle cerimonie sacerdotali, e non ebbi a lamentare neppure la minima sgarbatezza. Con lo strazio nel cuore terminai la S. Messa, pensando con mestizia che forse solo dopo qualche anno i Missionari avrebbero potuto ritornare a catechizzare una famiglia tanto ben disposta, e così generosamente e naturalmente cristiana. Fui largo di regali in aghi, specchi, polvere, munizioni da caccia, vestiti; e lasciai appesa all’albero della capanna un’immagine dell’Ausiliatrice, lasciandola regina della valle incantevole.

Saporitissime frutta.
Verso le 7 già eravamo in moto, coll’animo pieno delle più soavi emozioni e coll’ardente preghiera a Dio che salvasse tanta fede ingenua.
Il viaggio ci offrì dei panorami stupendi e ci mostrò delle meravigliose posizioni deserte, che potrebbero essere la sede felice di migliaia di famiglie d’emigranti. Il bel maggio di Maria ci offrì pure dei saporitissimi frutti silvestri, che formerebbero, se coltivati, la delizia di tanti mercati europei o americani. Una specie di tacsonia, rampicante altissimo, produce migliaia di pomelli, contenenti un succo di una soavità paradisiaca. Un’altra pianta, della famiglia delle rosacee, ricopre il durissimo tronco di frutta giallastre, profumatissime ed eccellenti. Un terzo albero gigantesco produce tonnellate di frutta grosse coane una mela, e di un prilibato sapor carneo come gelatina di pollo. La foresta poi non è avara di tanti altri frutti, che i selvaggi divorano con avidità.

Salvo per miracolo.
Passato il mezzogiorno, al margine di una discesa pericolosa la tranquilla marcia viene improvvisamente interrotta da un angoscioso grido d’allarme. Un selvaggio mi strappa bruscamente la lancia che portavo, e un altro mi si getta al piede destro per esaminare le scarpe rotte. Uno dei più velenosi serpenti delle nostre missioni, calpestato inavvertitamente, mi aveva conficcato i terribili denti a un millimetro dalla viva carne. Ucciso il serpentello che non raggiunge i 20 cm. di chiazze bianco-nere, con una testa schiacciata, larga, a punta triangolare, tutti i selvaggi mi furono addosso gridando come ossessi e predicando con le parole più ampollose il gravissimo pericolo che io avevo corso. In tutte le escursioni i selvaggi vogliono sempre che io li preceda, ed incamminai la marcia per evitare qualsiasi sorpresa! Questa volta, poi, che la Vergine Ausiliatrice aveva operata una grazia così strepitosa, potei osservare una gratitudine che giammai avevo visto tra i miei carissimi Kibaros. Il più alto e robusto di tutti mi saltò al collo piangendo e, abbracciandomi come un bambino, mi diceva:
– Ah! Padre, tu non sai che veleno potente ha la piccola vipera testè uccisa! Se ti avesse morsicato, a quest’ora ti uscirebbe il sangue dalle narici, dalla bocca, dagli occhi, dalle braccia, dal petto; già la tua carne sarebbe gonfiata come quella del tapiro, e saresti per terra gridando come un porco morente, per poi spirare subito. E che ti avremmo potuto fare noi altri? Forse la foresta produce il rimedio contro tale serpente? Forse un Kibaro si salva? Ah! Padre, il tuo Dio ti aiuti! Se l’avessi pestato io, credi tu che ora sarei ancora vivo? No, sarei in una pozza di sangue!
Ringraziato Iddio del gravissimo pericolo scampato, ripresi il viaggio, commosso innanzi a protezione così maternamente soave e non potei fare a meno di trattenermi per alcuni minuti nella meditazione delle profetiche parole rivolte al Messia ed ai continuatori della sua opera redentrice: « Camminerai sopra gli aspidi ed i basilischi, e non ti toccheranno ». Mentre io recitavo il Santo Rosario, i selvaggi non cessavano di commentare con sempre nuovi argomenti il prodigio avvenuto, e la conclusione era sempre la stessa:
– Se io fossi stato al posto del Padre, forse che il serpe non mi avrebbe avvelenato? E come per questi sentieri difficili mi avrebbero trasportato alla casa paterna, e dove avrebbero trovato il rimedio infallibile?

Improvviso assalto.
Verso le tre del pomeriggio un altro allarme improvviso ci getta nel furore di una mischia sanguinosa. Emettendo urla furibonde, tutti e quattro si mettono a sparare come matti nella foresta.
– Inemici di Tzarabiza! i nemici di Tzarabiza! – era la voce comune.
Mi gettai io pure a terra mirando nella direzione degli spari, e, non scorgendo nulla, li stavo pacificando e riducendo a più miti consigli.
– Tu non sai nulla, Padre, per questo ridi! Sappi però che sono molti giorni che stanno vagando per queste foreste per ammazzarci. Tu non hai la vista buona, perciò non li hai visti: ora sono già nel profondo della valle. Se non ti fossi trovato tu in nostra compagnia, ci avrebbero assaliti e massacrati qui sui posto.
Per evitare disgrazie e non riuscendo a pacificarli mi ero cacciato dentro un grosso tronco di albero vuoto. Quando terminarono gli spari e li vidi tranquilli, uscii dal rifugio e riprendemmo il viaggio. Il mio cuore però non era tranquillo, e con tristezza pensavo alle terribili lotte intestine, che creano odii secolari tra famiglie e impediscono assolutamente la formazione del più minuscolo popolo cristiano. Il Kibaro negli assalti è una vera belva feroce e mostra nella lotta i più crudeli istinti che mai si possano immaginare.

Trionfale accoglienza.
Intanto il sole era tramontato ed una salita ripidissima ci conduceva alla casa del Kibaro Kukúx. La visita era stata preannunziata, ed ebbi così la fortuna di vedere una cinquantina di selvaggi venuti dalle parti più lontane. Questa volta, pigliando la scusa che stavo male, dissi subito al capo di famiglia che non potevo assolutamente bere la ciccia, però che avvisasse le sue donne che mi facessero cuocere una bella pentola di banane e di zucca e di patate americane, ché le avrei pagate molto bene. Radunai subito i bambini per far loro un po’ di catechismo, e diedi ordine ai Kibaros di preparare un bellissimo altare, perchè avremmo pregato molto il Signore ed avremmo celebrata la Santa Messa come un grandissimo regalo. Come segno di festa speciale il Kukúx fece subito ammazzare un bel porco; e, quasi commosso, mi si accostò mostrandomi una splendida collana fatta con denti di tigre.,
– Vedi, Padre, avrei fatto ammazzare un porco più grosso, ma me lo uccise nella foresta il tigre, e non solo uno, ma venti in un anno. Ma però il bestione è caduto nelle mie mani stesse e questi denti sì grossi dimostrano il mio coraggio e polso sicuro. Se pregherai Iddio affinchè nessun altro tigre mi molesti, quando questi porcellini saranno grossi, te ne regalerò uno.
Mentre i selvaggi si gettavano con brutalità sulla vittima, io feci ammazzare una gallina e la feci cucinare sotto i miei occhi affinchè la carne servisse per il giorno seguente. Non meravigli questa misura: il furto tra i selvaggi non è proibito da nessuna legge, e se voi date ad una donna una gallina da cucinare con tutta tranquillità, è capace di presentarvi un po’ di brodo, un pezzettino di carne ed il resto di trangugiarselo tranquillamente nell’oscurità della notte. Per togliere però la cattiva impressione suscitata dagli stimoli palatali non soddifatti, feci preparare un pentolone di una bevanda squisitissima: guayusa con zucchero; e dopo il catechismo ne distribuii a tutti fino alla sazietà, rifiutando con una scusa qualunque di mangiare il loro porco. La notte passò tranquilla per quanto difficilmente si potesse riposare con tanta gente. Il pensiero che più mi preoccupava era come avrei potuto tenere in silenzio tanti marmocchi nell’assistere alla Santa Messa senza assolutamente un pezzo di tela per coprirli.

Angeliche statue viventi.
Ai Missionari vengono delle idee luminose e pensai di fare una bella corona di angioletti intorno all’altare: quattro innanzi con mozziconi di candele, tre ai lati con le boccettine del vino e dell’acqua e con il manutergio, un altro con il campanello e altri due con le carte-glorie; e questo con l’aria del più assoluto mistero, solo con gesti, affine di impressionarli dell’altissimo incarico che avevo loro affidato. Effettivamente questi rapacchiotti si diportarono bene, senza una parola, senza un sorriso, come se fossero dei veri angioletti di marmo. Era la vigilia della festa dell’Ausiliatrice, il 23 di maggio, e può quindi immaginare, amatissimo Padre, con che tenerezza parlai loro dell’Augustissima Regina, che il giorno prima ci aveva salvato da morte!

Veglia notturna.
Verso le otto ci mettemmo in viaggio, malgrado una pioggia dirotta, continua. Fu un giorno orribile. Tutti i fiumi erano cresciuti e le vesti in uno stato così compassionevole per le continue cadute nel fango, che per ben dieci volte fui costretto a gettarmi in piena corrente, aiutato dai selvaggi, con l’acqua fino alla gola. È facile immaginare in che stato arrivai all’ultima colonia cristiana: le vesti, le scarpe non si riconoscevano più. Quando mi videro arrivare, alcuni coloni si misero a piangere di compassione. Dopo mezz’ora però, cambiate bene le vesti e riscaldatomi ad una benefica fiamma ristoratrice, già stavo disposto al lavoro apostolico. La cappella non era stata ancora incominciata per la malattia del falegname ed anche questa volta il portico, cattedrale-pollaio, ci servì magnificamente per celebrare la solennità dell’Ausiliatrice. Tutti i coloni erano venuti con magnifici mazzi di fiori, con splendide palme intrecciato con disegni i più svariati. La letizia dell’Ausiliatrice era in tutti i cuori, e la umile immagine dell’Eccelsa Patrona la ponemmo sopra un trono trionfale di gloria. Recitato il Santo Rosario, incominciai a confessare la trentina di persone presenti, arrivando fin quasi alla mezzanotte, l’ora nostalgica della veglia notturna nel Santuario di Torino. Mi unii in ispirito ai Superiori, agli amici lontani, sicuro che l’umile omaggio dei trenta coloni e dieci Kibaros presenti non sarebbe stato meno accetto alla nostra cara Madonna. Alle 4 del mattino celebrai la S. Messa, distribuii la S. Comunione, ed infine la benedizione d’addio con l’umile Crocifisso.

Preghiera selvaggia.
Il viaggio di ritorno fu un vero martirio, data la stanchezza dei giorni precedenti, ma arrivai per tempo per celebrare alla domenica, 25, la festa solenne nella sede d’Indanza. Fuochi, luminarie, spari, musica riuscirono a renderla più sonora, ma ciò che avrà fatto più impressione nei selvaggi presenti sarà stato certamente la gran caldaia di riso e maiale fatta preparare da Don Plà. Avesse visto, amato Padre, con che avidità con cucchiai di legno si gettarono sulla saporita vivanda ridendo, sghignazzando ed assaporando nel modo il più trivialmente goloso la montagna di riso! Qualche barlume di fede, però, rifulse in mezzo a tanto materialismo. Durante la mia Messa Don Giulio aveva insistentemente detto ai Kibaros che qualunque grazia avessero chiamato durante il giorno l’Ausiliatrice l’avrebbe concessa, insistendo sopratutto sulle grazie spirituali. Terminata la S. Messa e vuotata la chiesa, mentre io stavo facendo il ringraziamento nella sacrestia, un Kibaro del lontano Pongo, superbamente ornato, con la lancia si piantò innanzi la statua della Vergine ed incominciò la sua preghiera:
– Nangui huagueraje, Tzurusta; cuciru huagueraje, tzurusta; pusciru thuagueraje, tzurusta: (Voglio una lancia, dàmmela; voglio un coltello, dàmmelo; voglio un panciotto, dèmmelo). Aspettò un poco e poi ripeté nuovamente la domanda con più forza; quindi uscì di chiesa disperato dicendo ai suoi compagni che il Padre della predica era bugiardo, che non era vero che la statua dell’Ausiliatrice dava tutto ciò che si chiamava. Testimone della scena, benché nascostamente, chiamai in segreto il Kibaro e gli dissi che bisognava prima chiamar la grazia di star buono, di non ammazzare, di non tener tante mogli, di andar in Paradiso. E per fargli però vedere come l’Ausiliatrice aveva premiato la sua preghiera, gli regalai proprio la lancia, il coltello ed il gilè. Il selvaggio era fuor di sé dalla gioia, e chissà questa grazia materiale ottenuta non gli valga il conseguimento di qualche grazia spirituale.

Assalito da un orso.
Il 27 maggio già avevo preparato, lavorando notte e giorno, le casse di materiali etnografici e scientifici per l’esposizione di Roma e mi preparavo ad uscire dalla foresta. I miei peones però si erano ubbriacati: può quindi immaginare che difficoltà nel viaggio e con che tormento ho dovuto io stesso guidare le bestie sopratutto nei punti pericolosi. La notte ci sorprese nella foresta; la carne comprata per il viaggio era già nauseante. Per buona fortuna alla mattina seguente, dopo una dormita rumorosa, i miei uomini avevano ripresa la conoscenza. Celebrata, quindi, la Santa Messa e armatomi di un bastone, tentai i 5o Km. che mi separavano da Gualaceo, per poter celebrare tranquillamente in paese cristiano la solennità dell’Ascensione e far un po’ di bene. Solo, nella foresta più barbara e priva assolutamente di esseri umani, parve un’imprudenza l’avventurato viaggio. Infatti, dopo due ore, un orso nero attraversa la, strada e si ferma, mirandomi a pochi metri, con occhio sinistro. Mi fermai io pure e, conscio del pericolo, invocai l’aiuto dell’Ausiliatrice, e sull’istante vedo comparire un ferocissimo cane, il quale, abbaiando ferocemente, si slancia contro l’orso e lo costringe ad internarsi nella foresta, inseguendolo per alcuni minuti. Fra i due litiganti il terzo gode, e, senza perder tanto tempo, continuai felice il mio cammino fino alla faticosissima cima di 3500 metri che culmina nel freddo parano. Il cane mi raggiunse ben presto e con lui divisi il pezzetto di pane secco, che mi era rimasto per il pranzo. I 20 Km. di ascesa più difficile erano terminati, ed incominciavano i 3o di discesa. Mi slanciai, quindi, a rotta di collo per la difficile via.Verso le 4, arrivando al primo casolare cristiano, tre furiosissimi cani, poco cristiani, mi assaltarono così barbaramente, che già mi avevano stracciata la veste e chissà che cosa mi avrebbero fatto, malgrado mi difendessi coraggiosamente con il bastone. A buon punto venne il mio cagnolino che era rimasto indietro, ed ingaggiando coi barbari mastini una lotta vivace, morsicando di santa ragione, li vinse tutti e tre, mentre io, già da lontano, contemplavo l’originalissima vittoria, benedicendo Iddio per un aiuto tanto insperato. A due ore da Gualaceo, le scarpe non avevano più suola, le tenebre rendevano invisibile il sentiero accidentato e questa volta il buon felino si mise dinanzi per mostrarmi la strada più propizia. Verso le 9 del mattino arrivai alla parrocchia di Gualaceo, senza scarpe, senza calze e con le vesti stracciate. Il buon Parroco mi accolse come un vero fratello, dandomi tutte le comodità per ristorarmi. Al mio fedelissimo cane volli dare una cena sontuosa, degna delle eroiche gesta del giorno. Quando mi ritirai nella stanza per dormire, mi volle a tutti i costi seguire e si accoccolò presso il letto. Alla prima aurora mi svegliai: era scomparso e non lo vidi più. Più tardi seppi che era ritornato alla foresta, in un’azienda vicino alla Missione. Per conto mio posso assicurare che il suo intervento e la sua guida furono così propizi che mi liberarono certamente da gravissimi guai, ed in lui riconobbi uno strumento della Divina Provvidenza per salvarmi.
Il giorno dell’Ascensione ed i due seguenti. riposai un poco dalle penose escursioni attendendo al ministero delle confessioni, ed al 31 maggio raggiungevo, a piedi, la casa centrale delle Missioni in Cuenca a dar ragione del mio operato all’Ecc.mo Mons. Comin.
Amatissimo Padre, da questa relazione che tocca solo alcuni degli episodi occorsi durante l’escursione, facilmente comprenderà come lo Missione dei Kibaros ha bisogno di un aiuto specialissimo di preghiere e di materiali per svolgersi. Sono tali e tante le difficoltà che si oppongono al trionfo della grazia, che solo spiriti forti e zelanti fino all’eroismo potranno cantare la vittoria nel lavoro apostolico. La Vergine Ausiliatrice prepari tali Missionari!

Prof. D. CARLO CRESPI.