Simpatica Vignetta che ben rappresenta don Carlo come Pioniere della Cinematografia EcuadorianaParte delle casse e del materiale di P. Crespi
La cinematografia ecuadoriana è, a tutt’oggi, giovanissima e solo in anni recenti ha cominciato a produrre con regolarità lungometraggi e cortometraggi, in pellicola e in video. Eppure, l’Ecuador già dagli anni Venti ha iniziato la sua avventura nel mondo delle immagini in movimento. E il suo pioniere è stato un padre salesiano italiano, Carlo Crespi che nel 1923, come è già stato ricordato, sbarca a Guayaquil, l’immensa città portuale, con 120 casse di materiale vario, tra cui una macchina fotografica, una macchina da presa, un proiettore. E con esse raggiunge Quito, la capitale, e da lì la foresta amazzonica, inviato dall’ordine dei salesiani per documentare le missioni nell’oriente ecuadoriano.
La sua base diventerà, fino alla sua morte, Cuenca. E’ (anche) per questo motivo che il neonato festival del cinema gli ha reso omaggio, proiettando, nella serata inaugurale, un documentario – Homenaje al Padre Crespi (omaggio al Padre Crespi), realizzato da Jorge Luis Serrano – che in mezz’ora ripercorre le tappe di questo pioniere attraverso testimonianze e rare immagini di uno dei suoi lavori, “Los invencibles shuaras del Alto Amazonas, girato nel 1926 con la popolazione dei shuara, documentario di carattere antropologico che ben evidenzia lo sguardo attento di Crespi nel cercare il dettaglio o il totale, in inquadrature sempre molto ‘calde’ e dunque di alto valore visivo, ben oltre il semplice reportage.
Macchina da presa di P. Crespi
E’ dunque un vero peccato che la quasi totalità della sua opera cinematografica sia andata perduta in quella notte del 1962 (quando venne dolosamente distrutta sia la scuola che il museo).
Proiettore di P. Crespi
Ciò che è più interessante nella vita di padre Crespi è l’attività pionieristica nell’ambito della produzione cinematografica ecuadoriana. Gli invincibili shuar dell’Alta Amazzonia è il titolo del documentario girato e montato in collaborazione con il fotografo Rodrigo Bucheli e Carlo Bocaccio. La prima edizione può contare sulla partecipazione di Vitey de Fontana che ha preso parte alla realizzazione di prestigiose pellicole, come Quo vadis? e Gli ultimi giorni di Pompei. La troupe riesce a filmare circa duemilacinquecento metri di pellicola, ridotti alla metà in fase di montaggio. Il debutto a Quito e a Guayaquil avviene nel 1927 e, in seguito, a Cuenca e nei vari cantoni delle diverse provincie dell’Ecuador.
Don Carlo nel 1926, quando ha girato il lungometraggio sugli Shuaras
Gli invincibili shuar dell’Alta Amazzonia è un film muto suddiviso nelle seguenti quattro parti:
1) Da Genova all’arrivo nell’Oriente.
2) Alcuni costumi degli shuar e la festa della tzantza.
3) L’opera salesiana nelle missioni.
4) Il supporto del Comité Patriótico Orientalista de Señoras.
La parte principale del film coincide con la partenza via mare dal porto di Genova e l’arrivo a Guayaquil, della quale documenta l’attività commerciale, i giardini pubblici e le strade. Il focus del documentario si sposta su Cuenca, nell’intento di raccontare il paesaggio dell’Oriente, la vita quotidiana delle donne, l’educazione dei figli, la fabbricazione delle pentole, la preparazione della chicca1, il confezionamento delle ceste, la mietitura, la tessitura del cotone, la costruzione di una cerbottana con dardi avvelenati per cacciare gli uccelli. Descrive quindi la pesca con il barbasco2 e la vita animale nella foresta: pappagalli, ara, aironi… Il “viaggio” cinematografico continua con la rappresentazione di scene di caccia al puma, al giaguaro e al cinghiale da parte di indios armati di lance e fucili.
Il documentario prosegue con la rappresentazione di un fatto macabro ambientato in un villaggio indigeno. L’agghiacciante reportage ha come protagonista una certa Makeipa, la quale fa uccidere il marito per procedere alla trasformazione della sua testa in una tzantza. La cerimonia è accompagnata da danze, mentre la cinepresa passa ad inquadrare il paesaggio. L’estremo realismo delle immagini non è che un preambolo per introdurre il tema principale della pellicola: l’opera missionaria dei salesiani che evangelizzano, educano e mostrano agli autoctoni la via del progresso, a partire dalla costruzione di strade e ponti, dall’agricoltura tradizionale e moderna, del lavaggio dell’oro nei fiumi. Nella parte finale, il film mette in evidenza il supporto ricevuto dal Comité Patriótico Orientalista de Señoras.
Questo il commento: “Sull’écran si proiettano belle scene naturali di armadilli, agouti, urogalli, pavoni e preziosi ornamenti, tra cui una collana di 5.000 denti di scimmia, un tessuto realizzato con 500 femori di uccello ed altri otto fabbricati con 6.000 ali d’insetto”. Nel documentario si vedono anche alcuni scheletri che padre Crespi studierà dal punto di vista scientifico. Egli afferma: “L’obiettivo fondamentale di questa pellicola consiste non solo nel far conoscere la regione orientale agli ecuadoriani, ma anche nel fornire un’immagine fedele della vita degli shuar. Non è un cannibale come pensano gli stranieri, ma un individuo primitivo che non ostacola la civilizzazione”. A prescindere da questa dichiarazione, senza dubbio il film serve a mettere in rilievo l’evangelizzazione posta in essere dai missionari salesiani.
Il documentario viene proiettato a Cuenca, Quito (nel Collegio don Bosco e al Teatro Sucre), Guayaquil (al cinema Edén), Ancón e in altre città del paese.
L’arcivescovo Manuel Maria Polit elogia il lavoro di Carlo Crespi, affermando che il cinema è un mezzo idoneo alla diffusione della fede, sebbene a volte sia utilizzato a sproposito. “È un vero peccato che i cattolici abbiano lasciato monopolizzare [da altri] un’arma tanto potente”. E aggiunge, rivolgendosi a padre Crespi: “Lei è stato il primo tra noi a incamminarsi su questa strada”. Col passare del tempo, il film si rovina. Non esiste una copia completa; della pellicola originale rimangono solo alcuni spezzoni. Grazie al contributo dell’U.N.E.S.C.O. e dell’Università Autonoma del Messico, la Cineteca Nazionale della C.C.E. la restaura, aggiungendo immagini fisse, un commento musicale e qualche effetto speciale.
Rimane, oltre a questo recente documentario in sua memoria, una ricostruzione del suo film sopraccitato, effettuata in occasione del centenario del cinema.
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Interessi scientifici in un cuore di missionario. Quando don Carlo arrivò nel vicariato di Mendez per preparare il materiale dell’esposizione vaticana, si viveva ancora in una situazione precaria, sotto l’incubo di cruente razzie indiane. La realtà vissuta dai missionari salesiani in quel periodo, da don Carlo viene così descritta al suo Rettore Maggiore: “Amatissimo Padre, col 1° marzo 1924 si compiono 30 anni dacché i Missionari salesiani, invitati dal Governo Ecuadoriano per incarico della S. Sede, assumevano l’evangelizzazione della razza Kivara in Gualaquiza. Le difficilissime condizioni politiche, la morte di molti missionari, la mancanza di mezzi finanziari e sopratutto il carattere eccezionalmente selvaggio dei Kivaros, hanno isterilita la già difficile opera missionaria sopratutto durante la guerra. Ora però che il Vicario Apostolico, Monsignor Comin, ha potuto ottenere nuovi operai, ora che zelanti comitati missionari d’Italia, Spagna, Stati Uniti, Messico, Cuba, Ecuador, hanno voluto con raro sentimento altruistico ascoltare il commovente appello del Pastore dei Kivaros, ed insieme col preziosissimo obolo della preghiera donargli anche oggetti, tessuti, paramenti per le poverissime chiese e denari per il consolidamento delle opere esistenti ed allestimento delle nuove, un santo alito di vita è penetrato e la Missione va riorganizzandosi verso nuove conquiste. Amatissimo Padre, permetta che dica nuove conquiste, perché se la Missione dei Kivaros non può presentare, come le altre, intere tribù convertite alla Fede ed alla Civiltà, questo però può affermare, di aver compiuto mirabilmente l’opera di prepara-zione. Mercè difficilissime esplorazioni si son potute stabilire le sedi di Gualaquiza, Indanza, Mendez, sedi che permettono di avvicinare in tutta la loro estensione i kivaros, arrivando ai confini delle Missioni Francescane e Domenicane.
Tra i coloni di Rosario. Nel dicembre scorso ebbi la fortuna di accompagnare Mons. Comin in visita a Gualaquiza. Non sto a narrarle le difficoltà del viaggio. Chi si abbandona ai pericolosi cammini deve essere disposto a tutto, a ricevere dei colpi poco graditi da rami sporgenti nel sentiero che s’infossa e s’incassa nella roccia, delle bastonate nella schiena da non voluti archi trionfali, cioè dai tronchi d’albero caduti ed ingombranti il cammino, e molte volte anche a cadute poco gradite nel fango colla povera bestia impossibilitata a rialzarsi. Prima di arrivare alla zona dei Kivaros, passato il freddo Paramos delle Cordigliere, il missionario passa attraverso piccole possedimenti di coloni, il cui nucleo più importante è posto nelle ridenti posizioni di Aguacate e Rosario. A quest’ultima posizione arrivammo verso sera quasi improvvisamente. Ci scorse però un piccolo indio, il quale si attaccò alla corda della campana, ed in breve fu organizzato un ricevimento cordialissimo all’illustre Pastore. Si poté subito attendere alle confessioni, ed all’indomani numerose furono le S. Comunioni. La chiesa, una miserabile capanna, in parte scoperta, senza pavimento, senza arredi, senza porte, mercé la generosità degli amici delle Missioni, sarà presto riedificata in posizione migliore.
Tragico passaggio. Intanto ai rintocchi della campana si radunavano sulla collina opposta i coloni di Aguacate addetti sopratutto alla coltivazione della paja toquilla, con cui si tessono i famosi cappelli di Panamà. Tra le due colline corre uno dei torrenti più rapidi e spaventosi dell’Oriente Ecuatoriano. Dalle piogge notturne era notevolmente ingrossato e l’eco cupa dell’onda si ripeteva nelle valli incrociantisi. L’unico ponte era caduto e rimaneva un solo palo, in parte già lesionato attraverso le sponde. S’immagini Lei, amatissimo Padre, lo spavento nel doversi cimentare a un passaggio tanto pericoloso. I buoni coloni per l’occasione, credendo di farci un regalone, avevano messo all’altezza di un metro dalla trave una liana di nessuna resistenza. Fu giocoforza passare, e non so ciò che provò Monsignore. Benché mi fossi messo al passaggio con tutta tranquillità, quando fui nel mezzo sentii il sangue ritirarmisi completamente. Il palo incominciava a muoversi ed a scricchiolare: la violenza spaventosa dell’onda che sbatteva contro le rive macigni colossali con rumori assordanti e che roteava nei gorghi spaventosi alberi giganteschi, appariva in tutta la sua tragicità. Una leggiera mancanza d’equilibrio, una piccola incertezza nell’incrociare i piedi, ci avrebbe dato inesorabilmente in braccio alla morte più crudele. La Vergine però ci assistette maternamente, e potemmo risalire ad Aguacate non senza aver dato ordine che fosse posto provvisoriamente un buon cordone d’acciaio regalato dal nostro Governo italiano e si provvedesse presto al rifacimento del ponte a costo dei più grandi sacrifici.
La nuova chiesetta di Aguacate. Nella nuova chiesetta ci attendeva un buon numero di coloni. Dopo la S. Messa un bel gruppo di bambini ci intratteneva con dialoghetti e poesie. Mancava solo la musica per completare l’accademia. Fu estratto quindi dai cassoni un grammofono e per lunghe ore i migliori canti risuonarono nella valle, tra la viva compiacenza di molti, che mai avevano visto un simile strumento musicale. Monsignore s’interessò vivamente delle condizioni religiose e morali di questa nuova residenza missionaria. Vi stabilì definitivamente un sacerdote, organizzò il servizio religioso, le scuole per l’educazione dei piccoli indigeni, una incipiente farmacia e lasciò denari e tessuti affinché, terminato il ponte di Aguacate, si risolva il problema della viabilità, e la colonia si avvii ad un benessere religioso e materiale.
Shuaras fotografati da P. Crespi nel 1926
Tra i selvaggi. Dopo due giorni si proseguì il cammino nella foresta e si arrivò dopo il passaggio del terribile Cutan, zona orribilmente pantanosa, alla sede della Missione. L’aver cambiato il giorno d’arrivo non permise un ricevimento rumoroso; appena però nei giorni seguenti si sparse la notizia della venuta del Vescovo, i Kivaros vennero da tutte le parti. Amatissimo Padre, pare impossibile che gli sforzi organizzati di un secolo di evangelizzazione abbiano così poco influito sulla natura feroce e barbara di questi selvaggi!1 Come dissi l’affluenza fu grande, ma affluenza interessata: «Obispo venendo, mucho regalando». – Viene il Vescovo, molto regalerà! -. Era questa la frase che si ripeteva tra di loro e colla speranza di regali si poté far loro un po’ di bene, organizzare istruzioni catechistiche e sopratutto la frequenza domenicale.
Shuaras con tamburi “tùnduli” in lingua shuar
Sentiamo il tamburo! Fu di grande interesse sopratutto il grammofono. Quasi nessuno aveva visto ed udito un simile strumento, e subito fu battezzato col vocabolo Kivaro «Tùnduli», cioè tamburo, «Tùnduli oyendo! Tùnduli oyendo!» era la frase che con insistenza puerile andavano ripetendo bocche di selvaggi, sbucati dalle più remote foreste. E Monsignore stesso molte volte s’adattò a caricare la macchina ed a cambiare i dischi. Graditissimi sopratutto alcuni canti, le voci di guerra, i suoni confusi, le risa sgangherate. Qualche donna sopratutto aveva una gran paura che nel disco ci fosse il demonio, e stava ben aderente al marito, o nascosta per paura di qualche brutto scherzo. Il problema di attrarre i selvaggi alla Missione è il più arduo e il più difficile. Le Jivarie più vicine sono a circa 2 ore dalla casa nostra, le altre tutte più lontane da 3 a 12 ore. Ora per ottenere che vengano almeno qualche volta è necessario avere grandi attrattive, cibi abbondanti per sfamarli, ciccia per dissetarli e regali in specchi, aghi, ami, tessuti, ed anche medicinali per poterli opportunamente curare. Solo con questi mezzi abbondanti si può sperare di averli qualche ora con noi, di averli attenti per qualche minuto al catechismo, e di udirli ripetere magari macchinalmente alcune delle preghiere, che il compianto Monsignor Costamagna fece comporre nella loro lingua.
Salviamo i giovani! Don Bosco, parlando della civilizzazione dei selvaggi dell’America del Sud, disse chiaramente che la conversione degli adulti sarebbe stata difficilissima e che i giovani avrebbero formate le nuove generazioni. Ai giovani soprattutto gli sforzi dei missionari. Mercé difficili esplorazioni alle Kivarie, si sono potuti studiare ottimi elementi che aprono il cuore alla più bella speranza. È certo difficile indurli a vivere col missionario. L’incanto della foresta troppo influisce sulla loro anima, avida di libertà; però alcuni birichini già si sono indotti a convivere coi missionari. E una vita collegiale, tutta singolare, a cui il sacerdote non solo deve mantenere lautamente i selvaggetti, e fare grandi spese per procurare loro anche delle distrazioni, ma è necessario che ogni tanto paghi le mamme, affinché permettano ai figli di rimanere alla Missione. La riorganizzazione della Missione richiede, quindi, dei grandi mezzi. Le coltivazioni dei canapi devono essere estese, affinché abbondanti siano i frutti per mantenere i selvaggi di passaggio; le comunicazioni colle diverse Kivarie devono essere più rapide con sentieri praticabili e ponti sicuri; i locali delle Missioni devono essere rinnovati secondo le nuove esigenze. Si fa quindi vivo appello agli amici d’Italia, Spagna, Stati Uniti, Messico, Cuba e del mondo intero, che già generosamente vollero aiutare il povero Vescovo dei Kivaros e gli permisero d’iniziare un nuovo lavoro, affinché continuino ad assisterlo colle preghiere e con offerte adeguate ai nuovi ed urgenti bisogni”.
Quando don Carlo chiama gli Shuaras «selvaggi», il termine non lo intende in senso dispregiativo, ma nel senso etimologico, ovvero «abitanti delle selve», in quanto era il loro habitat naturale. [↩]
Don Carlo Missionario-Scienziato con lo Stupore di Fanciullo (Parte Prima)
Lettera di referenze del Rettore dell’Università degli studi di Padova
Dalle prime dichiarazioni rilasciate da Carlo Crespi al suo arrivo in Ecuador emerge l’intenzione di far valere la sua formazione accademica, in quanto ritenuta un mezzo per servire meglio la società. Sebbene la vita lo conduca verso l’educazione dell’infanzia e l’impegno sociale, trova sempre la maniera di palesare le conoscenze e le competenze acquisite nei diversi ambiti di specializzazione. Una lettera di referenze ci dice, infatti, che la sua è una preparazione scientifica. Vive una prima e preziosa esperienza in Amazzonia, dedicandosi in particolare alle scienze naturali, all’antropologia e all’etnografia. Gradualmente, però, finisce per concentrarsi sulle opere missionarie evangeliche e sui doveri sacerdotali. Al termine della vita, l’amministrazione dei sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia diviene a tutti gli effetti un’attività quotidiana che occupa molte ore della giornata. Nel corso della malattia, ciò che lo affliggerà maggiormente sarà la lontananza dal confessionale e dal tabernacolo. Lo scopo di questo capitolo è mettere in evidenza i molteplici aspetti della sua vita scientifica e culturale, ampiamente dimostrati nel corso di una lunga esistenza.
“Solamente nell’ottobre del 1923 – egli riferì – mi fu possibile organizzare le prime escursioni alle missioni di Mendez, Gualaquiza e Indanza. A fine anno veniva da Torino l’ordine di preparare i materiali per l’Esposizione Vaticana, e così ebbero inizio le escursioni sistematiche a tutto il Vicariato, la raccolta dei materiali etnografici, dei dati statistici e di un’abbondante documentazione fotografica”.
Non si pensi che don Carlo fosse facilitato nell’impresa da sentieri tracciati e da precedenti esperienze dei confratelli. Le sue escursioni verso SE, verso l’Oriente ecuadoriano, erano in gran parte “inedite” e condotte sui primitivi sentieri degli indios Jivaros. Nessuno dei salesiani si era spinto, prima di allora, oltre certi limiti. La “scoperta” del mondo ecuadoriano incanta e capta l’interesse dello studioso. Con lo stupore di un fanciullo, Crespi si abbandona a descrivere l’ambiente e il clima tropicale, la flora, la fauna nei loro aspetti d’insieme e più spettacolari; poi non si trattiene da un’analisi più particolareggiata e propria della sua natura di studioso. E’ sorprendente questo atteggiamento di Carlo Crespi davanti alla novità ecuadoriana. Egli sprigiona certo il naturalista, ma non meno il poeta che, partecipando della natura, oltre che leggerla e descriverla, più intimamente l’assimila e la interpreta. Particolarmente significativa in questo senso ci sembra la prima lettera che Don Carlo scriverà qualche mese dopo il suo arrivo in Ecuador, al beato Filippo Rinaldi, Rettore Maggiore e 3° successore di don Bosco:
Condor che volteggia e nidifica sulle rocce dei numerosi vulcani dell’Oriente ecuadoriano
“Amatissimo Padre, mentre il Condor volteggia maestoso sulle pendici dei giganteschi vulcani, innalzantisi verso il cielo in una candidissima veste di neve, mentre il vorace Coccodrillo sulle rive del Guayas nella putrida melma, sonnecchiando, si bea degli ultimi raggi solari ed il Giaguaro, nell’immensa foresta, emette il terribile grido vespertino, ammonitore dell’insaziabile sua fame, e tutta l’innumerevole schiera dei serpenti, dal boa colossale alla vipera insidiosa, s’apprestano alla giornaliera opera distruggitrice ed avvelenatrice, il mio saluto commosso, cordiale. Non può immaginare quante cose avrei a dirle del lungo viaggio attraverso l’Atlantico ed il Pacifico, e soprattutto sulla traversata di quasi tutto l’Equatore, dalla tropicale Guayaquil alla temperata Quito, e come tante, tantissime volte, rapito nella sublime contemplazione della natura mi sono sentito schiacciato dall’Onnipotenza creatrice di Dio, umiliato innanzi alla vista di un mondo nuovo, ancora quasi completamente dalla scienza inesplorato. Veramente l’Ecuador offre al diligente osservatore meraviglie sopra meraviglie, bellezze sopra bellezze. L’alpinista qui trova un campo vastissimo d’escursioni, lo scienziato materiale inesplorato, il missionario un lavoro fecondo. Mi limiterò ad alcune osservazioni su ciò che di più caratteristico colpisce lo straniero in questa piccola Repubblica, grande di eroismo. Dal Guayas a Guayaquil. Lasciando il Pacifico e risalendo in alta marea il maestoso Guayas, subito lo sguardo rimane colpito dalla prodigiosa vegetazione delle sponde: platani colossali, manghi sviluppati, aranci, grande varietà di palme. Fissate l’occhio nella torbida onda e subito rimarrete colpiti dalle numerose schiere di delfini, assai più sviluppati di quelli dell’Atlantico e del Mediterraneo, e sfidanti la velocità del piroscafo con ritmiche capriole, come squadre di sottomarini. Non mirate gli orribili pescecani e neppure i pesce-spada, assai rari, guardate invece l’esercito immenso di pellicani solcanti l’onda e con velocità sorprendente caccianti l’incauto pesce che appare alla superficie.
Scorcio del porto turistico di GuayaquilCattedrale di Guayaquil
La perla del Pacifico. Il piroscafo intanto lentamente ci ha condotti innanzi a Guayaquil, la perla del Pacifico, la città delle belle chiese, del lavoro febbrile, del commercio del cacao, zucchero, banano, e dei famosi cappelli Panama. A pochi metri dalla spiaggia il Collegio Salesiano Cristobal Colon con una magnifica chiesa in costruzione, all’altro lato della città l’Orfanotrofio Santistevan. Siamo in pieno clima tropicale: il termometro non discende mai sotto i 19 gradi e non sale mai sopra i 35 gradi: due stagioni solamente. L’estate secco, arido e senza una goccia di pioggia, ma con una ristorante brezza marina da maggio a dicembre; l’inverno con un caldo soffocante, con piogge periodiche e con un imperversare di zanzare ed altri piccoli insetti, delizia e meraviglia dello scienziato e del collezionista, tormento certo poco gustoso del passeggero, che molto volentieri farebbe a meno di tanti animaletti, uno più curioso ed interessante dell’altro. Volete pigliarvi la soddisfazione di vedere in America dei colossali coccodrilli di più di sei metri? risalite per poco gli affluenti del Guayas e vedrete dei magnifici esemplari del Crocodilus Occidentalis, accoccolati nella melma.
Mirate attentamente tra il folto fogliame della sponda e vi colpiranno pure delle meravigliose Iguane di circa un metro di lunghezza. Se siete curiosi di vedere il famoso Basilisco, abbiate pazienza; fate due passi nella foresta, naturalmente colla massima precauzione per non pestare la coda di una delle tanti serpi velenose, e ne vedrete dei leggiadrissimi, di un vivissimo color verde, tranquilli, pacifici, assolutamente inoffensivi. Se siete fortunati nelle vostre ricerche, non vi sfuggirà la vista di una graziosissima lucertolina, l’Ameiva vulgaris, di un nero lucente, con punti azzurri e gialli. Per carità non datevi conto delle centinaia di migliaia di farfalle, che con ritmi e movimenti bizzarri vi circolano intorno; le migliori irradiazioni dell’iride, dal supremo Artefice magnificamente intrecciate, danno al vostro occhio un’impressione gradevolissima: bianchi, leggiadrissimi, con punti neri, verdi smeraldo, azzurri, rossi scarlatto, ed un’infinità di gradazioni dal giallo dorato al violetto lucente. Il piumaggio degli uccelli è meraviglioso: dal rosso del comunissimo Cardinale, al nero cupo del Gallinazo o catarstes atratus, rapace, fornito di un odorato finissimo, vero spazzino della città, chiamato foeteus, perchè ha una predilezione grandissima per i cavalli e i cani putrescenti. Nella notte poi in un trionfo magnifico di stelle dell’uno e dell’altro emisfero colla brillantissìma Croce del Sud un fenomeno curiosissimo che facilmente potrà trarvi in inganno. Nell’Ecuador tutto è colossale, e le lucciole, dall’addome fosforescente, non solo timidamente volano rasente terra, ma s’innalzano tra il vigoroso palmizio di cocco e con movimenti rettilinei vi danno la bellissima impressione di stelle cadenti: moltissimi stranieri restano veramente ingannati. Persino le blatte sono esageratamente sviluppate. Aprite un armadio con un po’ di farina, e le vedrete correre in tutte le direzioni, vivaci, grosse il triplo di quelle europee.
Verso la capitale. Ma è ormai tempo di abbandonare la città: se avrete la sfortuna di arrivarvi d’inverno, è assolutamente necessario muovervi. Il magnifico Cimborazo vi invita: il mostro gigante, che s’innalza a ben 6100 metri e che supera di ben 3000 metri le più alte cime della sierra, vi si profila nell’immenso orizzonte in un copioso ammanto di neve: se riuscite a scorgerlo dal mare ditevi fortunati, perchè è bello, è grandioso, è sublime, ma raro, prezioso. Le nubi, gelose molte volte, troppe volte, lo nascondono nella loro veste cinerea. Via quindi da Guayaquil e subito ai monti. Una ferrovia, una delle più alte del mondo, vi trasporta fino alla capitale, a Quito. Se non vi viene il male della montagna, se l’ardente calore non vi ammazza, gustate tutta la natura nel suo magnifico splendore. Nella zona palustre nidi grossi di formiconi tra i rami degli alberi, eserciti immensi di uccelli acquatici, farfalle dai più variopinti colori, ninfee magnifiche, salvinie, ecc. Poco per volta si profilano le caratteristiche coltivazioni tropicali: banani giganteschi, aranci frondosissimi, canna da zucchero, juca, ananasso e, nel bosco, bianchi fiocchi che vi indicano lo sviluppo dei cotone selvatico; più in alto il cacao, la pianta principe, il vero oro dell’Ecuador nei secoli passati, ed ora purtroppo deprezzato da una concorrenza fenomenale all’estero.
Foresta Amazzonica dell’Oriente ecuadoriano
Nel cuore della foresta. Il treno cammina, cammina; e, senza accorgervi, v’interna nelle gole dell’alta montagna, nella zona delle foreste vergini. Lo scrosciare spaventoso dei torrenti dalle curve più bizzarre, le ripide cascate di centinaia e centinaia di ruscelli che s’abbassano a valle, picchi inaccessibili, magnifiche palme che preziosissime sarebbero nei migliori giardini europei, anturium, dalle foglie larghe un metro, centinaia di bromegliacee fiorenti sugli alti alberi, splendidi liane come lunghi cordoni di navi innalzantisi dall’umida terra all’alta cima, passiflore e tasconie dai fiori vivissimi, e migliaia e migliaia di piante sparse nell’impenetrabile foresta ed ognuna in lotta gigantesca coll’altra per innalzarsi e far brillare nel libero cielo il magnifico fogliame e la caratteristica fioritura: ecco la natura nel suo massimo splendore. Benedetto sia Iddio che tante cose ha create!
Passeggiata con la ferrovia sulla NARIZ DEL DIABLO
La “Nariz” del diavolo. Saliamo, saliamo ancora: la magnifica vegetazione si fa meno lussureggiante; agli alberi succedono gli arbusti. Il ricino, da cui si estrae un olio già famoso in Italia, nell’Ecuador cresce spontaneo ed è un bell’alberello legnoso di alcuni metri di altezza. Osservate per terra: il colore dei fiori incomincia a divenire più uniforme, predomina un giallo vivace, segno di stanchezza. La macchina del treno, pure, dà segni di stanchezza, si prepara a fare una pericolosa salita, la famosa Nariz (il naso) del diavolo, monte a picco in forma di naso. Il treno sale lentamente, lentamente, e questa lentezza vi riempie di uno spavento, di una suggestione glaciale. Non osservate fuori del finestrino: un orribile abisso vi si para dinanzi. Non pensate che il freno potrebbe rompersi, che un carrozzone potrebbe staccarsi dalla locomotiva e, nella corsa vertiginosa lungo le rotaie, trascinarvi e massacrarvi nella valle…
Il Chimborazo visto da ovest.
La regione del Cimborazo. L’aspra salita è compiuta: l’aria si fa più fresca, la vegetazione sempre più scarsa. Siamo vicini al magnifico Cimborazo a quota 3000 metri, ed il colosso s’innalza ancora, ed è alto, altissimo. Appuntate un binoccolo e vedrete qualche Condor che volteggia sulle pendici, vedrete un ghiacciaio colossale con un’orrenda spaccatura e nascondente chissà quale precipizio. Il treno cammina ancora rimanendo ad una quota di circa 3000 metri e percorre il grande altipiano andino: lasciate la gentile città di Riobamba con una bella chiesa salesiana in costruzione, ed osservate la nuova vegetazione: il terreno è coltivato. Oh non cercate quassù il mais dalle pannocchie da terra promessa, l’erba medica sviluppata, il lupino, il frumento, l’orzo in produzione rigogliosa! Li troverete certo in qualche azienda, o fattoria, più lontana dalla ferrovia. Discendete dal treno, pigliate una manata di terra: è nerastra; è la cenere che le imponenti e relativamente recenti eruzioni vulcaniche hanno rovesciata a tonnellate, rendendo impossibile una pronta coltivazione.
“Il Tungurahua, è uno stratovulcano andesitico, che domina da più di 3 km di altezza sopra la sua base settentrionale, ed è uno dei vulcani più attivi dell’Ecuador.
La regione di Tunguragna. Avanti ancora un poco e vi si profilerà un altro colosso, il divino Tunguragna, ancora in eruzione. Com’è magnifica, com’è stupenda la vista di questo gigantesco colosso, innalzantesi ben 3000 metri sopra tutta la immensa cordigliera delle Ande, rivestito di neve e con un pennacchio di fumo a volte di nero carico, a volte leggero, mandante ogni tanto bellissimi riflessi infuocati, che nella notte gettano una luce rossastra, sempre sinistra, sempre insidiatrice, sempre minacciosa di chissà quali spaventosi fenomeni tellurici. Strati immensi di ceneri, bombe colossali gettate dalla potenza eruttiva a centinaia di metri, chilometri e chilometri di lava andesitica1, recente ed antica, vi diranno tutta la maestosità dei fenomeni tellurici susseguitisi nei secoli. Nell’alto altipiano della Sierra, non cercate la vegetazione lussureggiante: una graminacea di un color grigiastro, Stipa Ichu, vi si distende per chilometri fin quasi alla regione delle nevi.
Arrivati ad Ambato, la gentilezza insistente dei contadini vi offrirà per pochi soldi qualche grappolo d’uva, non certo come quella delle feraci colline piemontesi; fragole grossissime, ma di un sapore un po’ agro, pere, mele. Qui non si vende al minuto; bisogna comperare addirittura un canestro di alcuni chili; siate quindi compiacenti; prima di arrivare a Quito, avrete con che far passare il tempo. Un botanico però ha da che perdere la testa: ogni decina di chilometri incontra novità, meraviglie. In mezzo alla natura del triste panorama e lontano dai centri abitati, bellissime gigliacee, composite curiose, solanacee arboriformi; e, rampicante sugli arbusti, una liana dagli smaglianti colori rossi, la tasconia, nelle sue differenti specie. Delle fucsie esistono bellissime varietà. Sulle rocce umide, larghissime incrostazioni verdi: è la fegatella stellata, una graziosa crittogama. Intorno alle case s’erge maestoso, gigante, l’eucaliptus. Che magnifica pianta sempre verde, che preziosità per la sierra, così povera di legname da costruzione! Siamo arrivati nei dintorni di Quito. Boschi interi di questo prezioso albero la circondano da ogni parte. L’eucaliptus, che arriva anche a 40 metri di altezza, serve, oltre che a costruire case e fornire legna da ardere, a curare alcune malattie, tra cui le affezioni pettorali per la preziosa essenza di Eucaliptol che contengono le foglie.
Scorcio di Quito 2.850 m. slm, le seconda capitale amministrativa più alta del mondo, dopo La Paz.Cima innevata del Cotopaxi che evidenzia il cratere centrale perfettamente circolare.
Quito. Quito, una delle più alte città del mondo, vi offre un soggiorno delizioso: magnifiche le chiese, ricche di quadri di valore, preziose le biblioteche dei religiosi e dei privati, e sopratutto la Nazionale; interessanti sopratutto le viste panoramiche dei vulcani. Il Pichincho è, a poche ore di strada; il Corazon, l’Illiniza, il Caiambe la rallegrano colle loro bellissime cime. Fate poche ore fuori della città, sulla strada della Maddalena, e vi apparirà il Colopaxi in tutto il suo splendore: un gran cono, geometricamente quasi perfetto, ricoperto da un candidissimo ammanto di neve. Ora riposa nella gelida veste; pochi anni or sono diede uno degli spettacoli più maestosi di attività. Fate pochi passi lungo le grandi spaccature aperte dai torrenti, e potrete comodamente raccogliere felci, tasconie, fucsie, solanacee arboriformi. Prodigiosa sopratutto è la vegetazione dei muschi: alle falde del Pichincho, ne potei raccogliere ben 20 specie sulla corteccia di un vecchio albero. I fichi d’India, i cactus, e sopratutto l’agave americana, coltivata come confine tra aziende particolari e sfruttata per la fabbricazione della corda, vi diranno che siamo in un paese tropicale, con una media di temperatura di 12 gradi. Lungo le strade mulattiere e nelle profonde valli incise splendidi ceppi di arundo nitida con spighe meravigliose. Salite le falde del Pichincho ed incontrerete campi coltivati fino a quasi 4000 metri con mais, frumento, orzo, e sopratutto patate. Volete ricrearvi l’animo? Passate alcune ore all’Alameda, ove esiste il magnifico Osservatorio Meteorologico ed astronomico, fondato dal celebre Garcia Moreno, circondato dall’orto botanico, fondato dal non meno celebre Padre Sodiro, gesuita. Pochi minuti di strada vi portano al Collegio Salesiano di Quito, con buone Scuole professionali, con un nuovo e fiorente Oratorio festivo. Nella chiesa un prezioso ricordo: il quadro di Maria Ausiliatrice, donato da Don Bosco morente ai primi salesiani partenti per l’Ecuador e l’eco parola del nostro Fondatore: «Benedico Quito, la città del Sacro Cuore!».
La “scoperta” del mondo ecuadoriano, in un primo tempo incanta l’ospite e capta l’interesse dello studioso. “Rapito nella sublime contemplazione della natura – egli dice – mi sono sentito schiacciato dall’onnipotenza creatrice, umiliato alla vista di un mondo nuovo, quasi completamente inesplorato dalla scienza”.
Don Delfino Crespi giovane missionario in Thailandia
Con lo stupore di un fanciullo. Crespi si abbandona a descrivere l’ambiente e il clima tropicale, la flora, la fauna nei loro aspetti d’insieme e più spettacolari; poi non si trattiene da un’analisi più particolareggiata e propria della sua natura di studioso.
È sorprendente questo atteggiamento di Carlo Crespi davanti alla novità ecuadoriana. Egli sprigiona certo il suo spirito di naturalista, ma non meno il poeta che, partecipando della natura, oltre che leggerla e descriverla, più intimamente l’assimila e la interpreta.
Doveva essere una «predisposizione familiare». Nella lontana Tailandia anche Delfino Crespi, fratello minore di Carlo (undicesimo dei tredici fratelli) e lui pure missionario salesiano, aveva consimili atteggiamenti. In un viaggio di lavoro fu sorpreso da un confratello nell’atto di imbalsamare e assicurare al suo piccolo museo missionario una gigantesca “Mantide religiosa” intenta a catturare e divorare un malcapitato uccellino.
Con Padre Crespi i salesiani poterono finalmente realizzare nel lontano Ecuador l’abbinamento, da tempo programmato, di una missione religiosa con una missione scientifica, in una armonica simbiosi tra l’impegno apostolico e l’impegno culturale: «fu l’uomo giusto al posto giusto!»
Don Carlo fu certamente musicista, scienziato, ingegnere …, ma egli fu prima di tutto e innanzitutto un missionario che con le sue ricerche, i suoi studi, i suoi interventi ambientali e sociali, era interessato alla salvezza dell’uomo integrale e, solo come corollario a questo obiettivo primario, si serviva dei suoi talenti scientifici e musicali.
Il nome Andesite deriva infatti dalla catena montuosa delle Ande. Le andesiti sono molto comuni negli stratovulcani, dove formano sia spessi flussi di lava, che eruzioni moderatamente esplosive di tefra. Le andesiti sono eruttate a temperature comprese fra i 900 ed i 1100° C. Le lave dell’Etna appartengono in gran parte alle andesiti e ai basalti andesitici. [↩]
L’attività missionaria, culturale/educativa e sociale di padre Crespi nella sola città di Cuenca, si concretizzò nella realizzazione delle seguenti sei opere:
il Normal Orientalista,
l’Istituto Cornelio Merchán,
il Collegio Tecnico,
la Quinta (sta per Azienda) Agronomica,
il Teatro salesiano,
la Gran Casa della Comunità.
In un periodo in cui, in Ecuador, si succedevano con ritmo costante rivoluzioni e colpi di Stato (spesso con spargimento di sangue), l’insieme di queste opere da lui realizzate fu definita la “Revoluciòn blanca, cioè, una rivoluzione il cui cuore pulsante non fu la violenza, ma l’amore!
La catechesi. L’oratorio festivo di Cuenca era un luogo di ricreazione come quello che aveva fondato don Bosco nel 1841, quando era ancora un sacerdote secolare. Era destinato ai ragazzi di strada e funzionava la domenica. Accogliente, allegro, con svariati servizi. Era il punto di partenza per il raggiungimento dell’obbiettivo principale del salesiano: la catechesi. Dopo l’insegnamento arrivavano anche il pane, i biscotti, le caramelle, il vestiario, le elemosine.
All’interno dell’oratorio si favorirono la pratica sportiva e i giochi infantili come le altalene, i “sali/scendi” e altri passatempi analoghi. Si davano lezioni di taglio e cucito per le ragazze di campagna. Venne allestita anche una piccola palestra. Dall’oratorio fu bandita ogni forma di educazione repressiva, nonostante in alcuni centri d’istruzione permanesse il concetto di castigo corporale come strumento educativo.
L’idea fondamentale era ed è che si può educare in maniera positiva, attraverso la prevenzione o la previsione, con l’inclusione o la combinazione di diverse giochi. “Che si divertano, ma che non offendano Dio”. La formazione del fanciullo è alla base del suo comportamento futuro. A tutto ciò si aggiungeva la passione per la musica, che portò alla formazione di una banda e di gruppi corali. L’oratorio diviene anche un luogo in cui si apprezzano e si mettono in scena opere teatrali a cura del circolo di arte drammatica. In seguito si organizzarono escursioni, colonie di vacanza, le attività sociali e il cinema. Tutte ciò fu finanziato con le generose elargizioni che riceveva. Al pari di don Bosco, don Carlo attirava diversi collaboratori in virtù del suo carisma ed esempio. Egli sosteneva che i bambini e i giovani dell’oratorio dovessero frequentare i sacramenti e studiare in scuole e collegi, possibilmente, gratuiti.
L’Oratorio Festivo di Cuenca era quindi un mezzo pensato dal suo fondatore e ritenuto idoneo a conseguire i fini previsti. Per molti anni l’istituzione fu diretta da padre Giovanni Bonicatti, con il quale padre Crespi instaurò un solido rapporto di collaborazione sino al 19401.
L’oratorio era apprezzato dai giovani e dalle rispettive famiglie, in quanto impartisce un’educazione cristiana, costituisce un’occasione di divertimento, una fonte di sane amicizie, di corresponsabilità e di solidarietà tra compagni2.
La scuola agraria . Sull’onda di un precedente che risale al 1927 e in seguito alla finale approvazione del 1931, nel settore cittadino di Rio Yanuncay nasce il primo istituto di agraria della regione. Carlo Crespi e padre Albino del Curto richiedono ed ottengono a favore di dieci studenti una borsa di studio di venti sucre ciascuno. Nonostante l’iniziale appoggio del presidente Isidro Ayora, l’erogazione viene sospesa. Nel 1930, la direzione dell’istituto di rio Yanuncay è affidata al salesiano e botanico padre Antonio Gardini, proveniente dal Messico e valido propugnatore di un maggior rigore scientifico in ambito agrario. L’opera di padre Gardini proseguirà in seguito nella missione di Gualaquiza, ove contribuirà in maniera preponderante all’ingresso di un indigeno shuar nella comunità salesiana. Carlo Crespi s’impegna personalmente ad espandere i possedimenti terrieri dei padri salesiani nel settore di Yanuncay e a dotare le proprietà di:
– attrezzi agricoli,
– un trattore,
– un veicolo con piano ribaltabile per il trasporto di materiali, – sementi,
– capi di bestiame.
Il sito agricolo, coincidente all’epoca con un’area rurale di Cuenca, subisce significative migliorie, tra cui la realizzazione di un ponte sul rio Tacqui e il trasporto dell’energia elettrica per il settore cittadino. In questo luogo sorgerà un giorno il primo istituto agronomico della provincia dell’Azuay. Padre Crespi invia al Ministero dell’Agricoltura una lettera di ringraziamenti per la concessione di alcune borse di studio a favore della Scuola Agricola Salesiana di Cuenca e Mendez. Il corpus documentale relativo a questo scambio epistolare consta anche di un testo normativo, secondo lo stesso Crespi ispirato ad iniziative condotte con successo a Panama, in Cile, Argentina e Brasile. In esso si legge: “Il Governo ecuadoriano, al fine d’incoraggiare lo sviluppo agricolo e zootecnico delle province subaustrali del Cañar, Loja, Azuay e Santiago Morona, stabilisce una sovvenzione di 4.000 sucre concernente otto borse di studio del valore di 500 sucre ciascuna… L’assegnazione risponderà al criterio di favorire i bambini delle diverse province australi caratterizzati da condotta morale corretta e viva intelligenza” (Archivio Storico dell’Ispettorato Salesiano di Quito).Ufficialmente riconosciuta il 30 gennaio 1950, la Scuola Pratica Agricola prevede un ciclo di studi quadriennale che si conclude con il rilascio di un diploma di perito agronomo.
Il 16 febbraio 1959, il Ministero dell’Istruzione ne approva la trasformazione in Collegio Tecnico Agrario e Zootecnico. Al termine di un ciclo di studi di sei anni, i tecnici diplomati sono in grado di seguire corsi universitari. In un’ottica nuova, i padri salesiani permutano i terreni posseduti nel settore di Yanuncay, sede del Collegio Tecnico Agrario e Zootecnico, con altri ubicati nella zona di Uzhupud (cantone Paute). All’interno del nuovo sito costruiscono strutture e possono disporre di maggiori spazi per la pratica delle discipline agrarie.
Scuola “Cornelio Merchàn” e Santuario “Maria Ausiliatrice”
L’Istituto e la Scuola Cornelio Merchán. L’edificio interessato dall’incendio, disponeva di un ampio spazio antistante la calle Vega Muñoz. Il primo dei quattro piani del fabbricato era occupato dal teatro e i restanti tre da aule, laboratori e piccole botteghe. La sua realizzazione era stata possibile grazie agli ingenti finanziamenti di Cornelio Merchán Tapia e del figlio Nicanor Merchán Bermeo. L’attività di esportazione di cappelli di paglia toquilla aveva fruttato a Cornelio un’importante fortuna, condivisa con i poveri, a supporto dell’opera educativa salesiana, di cui Carlo Crespi si fa propulsore. Merchán senior è ricordato anche per aver sostenuto l’ospedale San Vincenzo de’ Paoli, l’associazione operaia La Salle e l’Alianza Obrera. Suo figlio, Nicanor Merchán Bermeo, continuerà ad appoggiare le iniziative salesiane e, in particolare, quelle di padre Crespi. Medico specializzato in Germania nel campo della batteriologia, a lui si deve l’installazione a Cuenca delle prime attrezzature per raggi X e la redazione di alcuni saggi in materia. Appassionato di poesia, di resoconti di viaggi e di saggi storici, sarà attivo in tali ambiti letterari sino al 1933, quando, a seguito dell’acquisizione del quotidiano El Mercurio, intraprenderà la carriera giornalistica dando prova di correttezza e imparzialità. Nicanor Merchán offre il proprio sostegno alla Scuola Cornelio Merchán, la cui denominazione fu voluta dai padri salesiani in memoria dell’illustre genitore e alla Scuola Emilia Merchán, aperta a Charasol sotto la supervisione dei religiosi. Contribuirà anche economicamente ad altre istituzioni benefiche.((Nicanor è stato anche direttore dell’Assistenza Pubblica. Durante il suo mandato, introduce importanti riforme in ambito sanitario. Appassionato di viaggi, visita molti luoghi e fa esperienza prevalentemente a Cuenca. Aiuta l’infanzia e i poveri, specialmente gli indigeni. Sostiene economicamente l’associazione Gota de Leche, rivolta ai bambini invalidi. Particolarmente significativo l’appoggio finanziario fornito ai rifugiati provenienti dalla provincia di El Oro, invasa dalle truppe peruviane. Ai suoi finanziamenti si aggiunge il dinamismo di Carlo Crespi, insieme al quale si dedica alacremente all’assistenza ai profughi. Nicanor Merchán è autore di svariate opere in campo scientifico, per lo più attinenti alle sue specializzazioni. “La morte lo colse mentre stava meditando e scrivendo sulla Passione di Cristo, nella Settimana Santa del 1956”. “Morì da giusto, senza afflizioni, né grandi sofferenze”, dice di lui Vicente Moreno Mora)).
L’Istituto Cornelio Merchán riceve aiuti anche dall’Italia, dalla Francia, dal Vaticano, dagli Stati Uniti e anche da altri cittadini di Cuenca, alcuni dei quali preferiscono rimanere nell’anonimato. Padre Crespi scrive una breve relazione sull’Istituto Merchán, inteso come amplificazione della Casa Salesiana di Cuenca, al fine di abilitare la scuola di arti e mestieri che aveva funzionato per circa un ventennio nei locali del Collegio di Ognissanti, del Cuore di Maria e di San Francesco.
La creazione dell’istituto nasce in risposta all’esigenza di dotare la Casa di Cuenca di un polo rivolto tanto alla città, quanto alle province circostanti che all’epoca (1935) contano circa trecentomila abitanti. La finalità prima è fornire assistenza tecnica e servizi di perfezionamento al personale salesiano in forza al centro e proveniente in parte dalle missioni orientali. Anche in questo caso, Nicanor Merchán è riconosciuto quale principale benefattore e “persona ricchissima di Cuenca, desiderosa di lasciare ai posteri un’opera benefica in memoria del defunto padre, Cornelio Merchán”.
Lo stanziamento inizialmente previsto per la realizzazione dell’opera ammonta a 200.000 sucre (all’epoca, una lira italiana corrisponde a 85 centesimi). Tuttavia, l’aggiunta di una terrazza con funzione di osservatorio meteorologico e sismico e di una stazione radio, attraverso cui mettere in comunicazione tutte le missioni del Vicariato, l’importo sale a 500.000 sucre. Il 6 novembre 1933 hanno inizio i lavori di scavo delle fondamenta che, in alcuni punti, arrivano a 3,50 metri di profondità e, in altri, fino a 7 metri. La gestione dei picchi di lavoro richiede l’impiego di 800 persone, 20 camion per la rimozione dei materiali di scavo e 100 muli per il trasporto della sabbia. In corso d’opera si selezionano i lavoratori più capaci e i lavori di fondazione terminano il 23 marzo 1934. L’erezione dei muri perimetrali si conclude il 26 aprile 1935, mentre gli interni giungono rapidamente a compimento.
Padre Crespi si fa carico della responsabilità finanziaria e tecnica e, per quanto concerne la progettazione dell’edificio, afferma di essersi ispirato alle migliori realizzazioni di matrice italiana, nell’ambito della comunità salesiana. Aggiunge di aver personalmente scelto i materiali da costruzione e di essersi rivolto, in caso di necessità, ai migliori ingegneri dell’Università di Padova, conosciuti intorno al 1919.
Don Carlo con alcuni allievi della Scuola Cornelio Merchàn prima dell’incendio del 1962
Al termine della realizzazione di tutti gli esterni, si procede alla pavimentazione delle aree ascritte alla chiesa, alla portineria, il parlatorio, il teatro, il museo delle missioni, le aule e un dormitorio per i futuri pensionanti. Quanto al funzionamento della scuola, padre Crespi riferisce in una nota informativa di aver intenzione di procedere per gradi e che l’internato costituirà un’estensione dell’Oratorio Festivo. All’epoca sono necessari circa 10.000 sucre per la realizzazione del laboratorio di ebanisteria, altri 10.000 per la stamperia, circa 30.000 per l’installazione di una piccola officina meccanica e circa 10.000 per dotare l’istituto di laboratori di calzoleria e sartoria. Comunica inoltre di aver ricevuto da Merchán 77.676 sucre nel 1933, altri 43.540 nel 1934/35 e infine 78.894 nel 1935, per un totale di 200.000 sucre. Conclude la sua relazione precisando di aver ricevuto in dono dallo stesso Merchán anche diversi materiali e di essere in ritardo con alcuni pagamenti, in quanto il benefattore è in viaggio al Cairo (Archivio Storico dell’Ispettorato Salesiano di Quito).
Impressionante foto dell’incendio della scuola.
L’opera rappresenta il miglior esempio di struttura scolastica, in grado di competere con l’Istituto Benigno Malo, sorto proprio in quegli anni. José Maria Velasco Ibarra in una delle sue visite a Cuenca esprime al riguardo parole di encomio. La scuola viene inaugurata il 31 ottobre 1936. Gratuita e riservata ai poveri, arriva ad ospitare fino a 1.500 studenti. “Feci la Scuola Cornelio Merchán perché venni a sapere che c’erano molte famiglie che non potevano mandare i propri figli a scuola”, dice talvolta padre Crespi. La direzione dell’istituto è affidata a Nicanor Escandòn, mentre l’insegnamento è compito di Vicente Escandòn, Roberto Escandòn, Alfonso Mejia, Luis Nivelo ed Emiliano Oyervide, eccellenti professori, totalmente e incondizionatamente dediti all’opera educativa voluta da padre Crespi e ad ogni altro progetto a vantaggio della comunità.L’istituto rimane in funzione sino al mese di luglio del 1962.
La notte del 19 luglio, l’edificio è divorato dall’incendio che, sviluppatosi al secondo, raggiunge il quarto e ultimo piano. Si tratta di uno dei disastri più gravi subiti dalla città di Cuenca.
I vigili del fuoco riescono a salvare solo le attrezzature dell’officina di meccanica e ad evitare la propagazione del fuoco alle costruzioni vicine.
Carlo Crespi assiste alla scena impotente e sofferente.
I cittadini di Cuenca reagiscono con generosità, desiderosi di ricostituire l’opera salesiana voluta da padre Crespi, il quale continua a dare prova di grande entusiasmo e forza. I corsi continuano presso la scuola Uruguay, mentre alcuni arredi scolastici sono ricevuti in prestito dal club Sangurima. Dopo l’incendio, viene costruito un edificio provvisorio situato tra le calle Pio Bravo e Tarqui, ottenendo dal Ministero dell’Istruzione l’erogazione dei fondi necessari al mantenimento della tradizionale gratuità stabilita dal fondatore.
Don Carlo tra i 45 /55 anni quando era Direttore del Noviziato e del Collegio Tecnico Salesiano
La scuola di arti e mestieri. Nel 1937, [padre Crespi] si recò in Italia alla ricerca di aiuti, accompagnato da macchinari e personale. Egli mirava a realizzare laboratori di meccanica, falegnameria, ebanisteria, sartoria, calzoleria, tipografia, rilegatura, elettricità e arti grafiche. Nel mese di settembre dello stesso anno, gli pervenne il primo sostegno economico che permise la realizzazione del centro educativo inaugurato nel 1938. Nel 1946, il Ministero dell’Istruzione ufficializzò il corso di studi sotto la denominazione di Colegio Técnico para Bachillerato Industrial [Istituto tecnico a indirizzo industriale]. La direzione generale dell’istituto fu assegnata a Carlo Crespi, mentre ogni laboratorio faceva capo a un maestro o a un perito con funzione di capo officina. Da questi atelier nacquero opere pregevoli; prime fra tutte il baldacchino della Cattedrale Nuova e gli stalli del coro della Cattedrale di Loja. La scuola con il tempo assunse il nome di Collegio Tecnico Salesiano. A seguito dell’incendio già menzionato, venne iniziata la costruzione di nuovi locali, culminata nell’aprile del 1967 con l’inaugurazione dei primi edifici scolastici nel settore nord-occidentale di Cuenca. Al programma di studio del collegio si aggiunsero specializzazioni tecnologiche e, al fine di conferire qualità universitaria ai corsi impartiti dall’Istituto Tecnologico Superiore della comunità dei padri salesiani dell’Ecuador, venne sottoscritto un accordo con la Pontificia Università Cattolica dell’Ecuador. Stipulato a Cuenca nel 1981, sarà rinnovato nel 1986 e concluso nel 1989. L’istituto richiese l’appoggio accademico dell’Università di Cuenca e, in seguito, i padri salesiani ottennero l’approvazione dell’Università Politecnica Salesiana, stabilendo la sede principale a Cuenca e altri distaccamenti in varie città del paese.3.
L’opera educativa che oggi ha raggiunto dimensioni superiori affonda le sue radici nell’iniziativa di padre Crespi. Dai laboratori tipografici è nata la casa editrice don Bosco, primaria azienda specializzata nella pubblicazione di testi scolastici. Carlo Crespi si dedica con impegno all’apertura di un noviziato volto alla preparazione dei futuri sacerdoti salesiani, molti dei quali diventeranno missionari. L’edificio costruito a tale scopo nella zona di Yanuncay è operativo sin dal 1939.
La scuola Normale Orientalista. L’istituto fu concepito come strumento idoneo alla formazione dei docenti, incentrata sulla preparazione pedagogica, didattica e metodologica dei futuri missionari della regione amazzonica. Il 6 novembre del 1940, la scuola ricevette la necessaria abilitazione dal Ministero dell’Istruzione. Primo collegio normale cattolico in ordine temporale, funse da modello per altre realtà istituite dai missionari salesiani e dalla comunità delle Madri Salesiane in tutto l’Ecuador. Con l’andar degli anni, cambiò la propria denominazione in “Collegio Orientalista Salesiano”. Al termine della preparazione, gli studenti sono in grado di lavorare nel campo dell’insegnamento o di continuare gli studi iscrivendosi all’università. Tra l’istituto e il preesistente Collegio Normale Manuel J. Calle, d’impronta laica e dotato di ottimi docenti, si instaurò un rapporto di reciproco sostegno e collaborazione.
Don Carlo con i suoi “niños”
L’orfanotrofio Domenico Savio . Il ricovero venne istituito in seguito al terremoto di Ambato del 5 agosto del 1949. Tra i sismi più devastanti della storia dell’Ecuador, si abbattè con conseguenze catastrofiche sulla città e su alcuni villaggi limitrofi, in particolare su Pelileo. Il cataclisma lasciò dietro di sé cinquemila vittime e moltissimi orfani. Un orfanotrofio temporaneo intitolato a Domenico Savio raccolse quaranta bambini rimasti senza famiglia. I salesiani provvidero alla loro educazione sino alla raggiunta autosufficienza. Carlo Crespi si fece carico anche di questa nuova responsabilità.
Conclusioni . Il lavoro di padre Carlo Crespi nel campo dell’educazione assunse, a ragion veduta, proporzioni grandiose. Egli fondò il proprio impegno sugli aneliti di don Bosco, dei superiori e dei compagni che hanno la vocazione dell’insegnamento, anche in assenza di un titolo abilitante o di una cattedra. Ciononostante, fece sempre affidamento sull’esperienza maturata in Italia nell’ambito della docenza e sull’appoggio dei dirigenti della comunità salesiana, di generosi concittadini, di istituzioni estere e, soprattutto, di insegnanti mossi più dall’idealismo che dalla retribuzione ridotta ricevuta.
La comunità salesiana e la città di Cuenca hanno da sempre valorizzato l’apporto di padre Crespi alla crescita culturale. Le persone a lui più vicine proposero l’intitolazione di una scuola a suo nome. Gli studenti di una scuola media serale per operai, fondata nel 1972, riusciranno a trasformarla nel Collegio Carlo Crespi.
Col passare degli anni, l’edificio che un tempo era stato elogiato dal presidente della repubblica, si deteriora per mancanza di fondi e di manutenzione. Già prima dell’incendio del 1962, l’istituto non si trovava in buone condizioni e non era in grado di assolvere efficacemente alle finalità previste. Nonostante gli sforzi, le provviste finanziarie procurate da padre Crespi si rivelarono insufficienti. Come si è visto, egli si impegnò, per amore, alla ricostruzione della struttura originaria, sebbene le relazioni tecniche consigliassero la demolizione dei muri rimasti dopo l’incendio. “Dio scrive diritto sulle righe storte”, dirà un giorno un salesiano. L’impresa educativa iniziata da padre Crespi prosegue attualmente all’interno di strutture adeguate, ben attrezzate e finalizzate al raggiungimento di livelli di eccellenza. Il tutto si compie all’insegna dell’armonia tra settore pubblico e privato, i quali vedono nell’Apostolo dei poveri un esempio da seguire e nobilitare. Oggigiorno la comunità salesiana riconosce il valore dell’opera educativa di Carlo Crespi e si impegna a renderla nota alle generazioni future.
Padre Giovanni Bonicatti nasce in Italia nel 1872 e muore a Cuenca nel 1940. Svolge un lavoro encomiabile fra gli shuar, conducendo una vita religiosa irreprensibile. Una strada di Cuenca porta ancora oggi il suo nome. [↩]
L’oratorio confluisce col tempo nell’Istituto Tecnico Salesiano, dotato di attrezzature all’avanguardia. Anche oggi si costituiscono piccole associazioni e gruppi di lavoro come boy scout, lupetti, catechisti, missionari, musicisti e cori. [↩]
Un allegato contiene la sintesi del processo di conversione dell’edificio incendiato e della costruzione del nuovo Collegio Tecnico Salesiano, realizzato nel settore nord-occidentale della città. [↩]
Legnano all’inizio del XX secolo – Piazza San Magno, allora Piazza Umberto I
Dopo aver completato le scuole elementari a Legnano, dal 1903 al 1905, Carlo studiò presso l’Istituto Sant’Ambrogio di Milano, dove ricevette un trattamento affettuoso dagli insegnanti e dalle autorità scolastiche. Strinse amicizia con quattrocento studenti, armonizzando alla perfezione i giochi, la liturgia e gli studi, e considerando il centro educativo come una seconda casa. Scriverà nel suo diario: “Gli anni passati nel collegio salesiano di Milano sono stati vissuti nella più spontanea innocenza, senza la benché minima ombra del male, senza un cattivo pensiero, senza sapere cosa fosse la malizia. L’ultimo anno fu di ascesi spirituale, di manifestazioni, di sofferenza, di generosi propositi”.
Torino – Valsalice – il chierico Carlo Crespi vi fece la professione religiosa perpetua e vi compì gli studi liceali e teologici
Noviziato e studi di filosofia e teologia . Alla fine del 1905 andò a completare gli studi al Liceo salesiano di Valsalice (Torino). Mentre la madre lo appoggiava, suo padre non comprendeva bene l’attitudine del figlio e pare non condividesse la prospettiva del sacerdozio. “Vede, papà – gli disse, dandogli del “voi” secondo l’usanza del tempo – la vocazione non la impone nessuno. La vocazione viene da Dio. Mi sento chiamato ad essere salesiano”.
Foglizzo – Don Carlo vi fece il Noviziato ed emise i voti di povertà – castità e obbedienza
Superando tale difficoltà e con l’aiuto economico del nonno, iniziò il noviziato a Foglizzo dove, l’8 settembre del 1907, emise la sua prima professione religiosa tra i figli di don Bosco. Quale Maestro dei novizi ebbe padre Giovanni Zolin, illustre sacerdote. Tra il 1909 e il 1911, incominciò gli studi di filosofia al Valsalice, dove incontrò come compagno di studi il chierico Renato Ziggiotti, futuro V° successore di don Bosco. Prende i voti perpetui a Valsalice, il 21 luglio 1910. Continua gli studi di tirocinio a Este, sino al 1913, per proseguire l’anno successivo il tirocinio pratico. Inizia gli studi teologici nella stessa Villa d’Este a Verona. Tra il giugno e il luglio del 1915, riceve la tonsura e il sottodiaconato a Padova, ove viene consacrato diacono l’8 giugno dell’anno seguente. Nello stesso periodo inizia l’insegnamento delle scienze naturali, della matematica e della musica presso il Collegio salesiano Manfredini di Padova, attività mantenuta sino alla partenza per l’Ecuador, nel 1923. La prima esperienza in campo musicale la fece nella direzione del coro di tale Istituto.
Don Carlo Giovane Sacerdote
Ordinazione sacerdotale Domenica 28 gennaio 1917 venne ordinato sacerdote e la Domenica successiva, 4 febbraio, celebrò una delle sue prime messe a Legnano, nella chiesa del S. Redentore. Poiché si era nel mezzo della prima guerra mondiale, Lunedì 8 ottobre 1917 fu subito arruolato e assegnato di stanza a Verona, dove si distinse nel tenere conferenze culturali e religiose alle reclute, che poi andavano al fronte, dimostrando di possedere comprovate doti d’intelligenza fuori del comune e attirando su di sé le attenzioni dei superiori della società salesiana.
A ottobre, sempre a Padova, si iscrisse a Scienze Naturali, con specializzazione in botanica. Studia e classifica piante, effettuando ricerche anche sul mondo animale. Nelle paludi di Comacchio, scoprì la presenza di microrganismi, denominati “rotifere dell’Antartide”, trasportati da talune specie di uccelli migratori. La scoperta suscitò notevole interesse nella comunità scientifica. Conclude gli studi, dopo aver raccolto una grande quantità di materiale nelle regioni del delta padano e conseguito il dottorato in Scienze Naturali il 15 giugno 1921, discutendo la seguente Tesi: “Contributo alla conoscenza della fauna d’acqua dolce dell’Estense e località limitrofe. Paludi, canali, fossi, sorgenti degli Euganei, dei laghi di Arquà e Venda”.
Frontespizio della tesi di laurea di P. CrespiPagina 1 della tesi
In seguito ricorderà che avrebbe dovuto esporre la tesi in quindici minuti, ma che la discussione si prolungò per oltre due ore e che la commissione d’esame si limitò ad ascoltare senza porre domande. Un compendio riepilogativo di 32 pagine fu pubblicato su un opuscolo da: “La Litotipo”, Editrice Universitaria, Padova.
Tre settimane prima don Carlo aveva compiuto trent’anni. Tre mesi dopo, al Conservatorio della stessa città, si diploma in Pianoforte e Composizione.
Gli anni dal 1915 al 1921 misero in evidenza la determinazione e la forte tempra di Carlo Crespi! É straordinario come nel giro di quegli anni inquieti (il mondo stava conoscendo gli orrori della 1^ guerra mondiale), il giovane salesiano sia riuscito contemporaneamente a completare gli studi teologici; abbia fatto il servizio militare con le conferenze di cui si è già detto; abbia insegnato al Collegio Manfredini; abbia frequentato l’università con la discussione della tesi in meno di 4 anni; si sia diplomato al Conservatorio e abbia trovato anche il tempo di partecipare a speciali corsi di ingegneria e idraulica.
Questa mole di impegni brillantemente portati a termine sta a comprovare che don Carlo aveva doti di intelligenza fuori del comune e veramente degne di attenzione.
A questo periodo, in cui tra le tante altre cose frequentò i corsi di ingegneria e idraulica, egli si riferì quando, novant’enne, in un’intervista gli chiesero cosa pensasse dei libri di Erick Von Daniken (scrittore fantascientifico) e se credesse agli extraterrestri. Egli rispose che durante gli anni dell’Università, con un gruppo di amici, studenti di ingegneria, cercò di risolvere i problemi connessi all’invio di un razzo sulla Luna. Tuttavia, confesserà candidamente che tutto si arenò perché non riuscirono a trovare una soluzione al problema del “combustibile e del comburente”. Infatti, solo 40 anni dopo furono scoperti i “propellenti” usati, appunto, nell’industria spaziale! All’intervistatore spiegò che i combustibili tradizionali sono solo una fonte di energia, mentre i propellenti sono anche una fonte di fluido motore; essi trasformano cioè direttamente l’energia chimica in energia termica e in energia cinetica. Si tratta in pratica di sostanze in grado di sviluppare molto rapidamente grandi quantità di calore e di produrre rilevanti quantità di gas ad alta pressione. Questi gas vengono espulsi, con continuità e a velocità elevata e controllata, dalla parte posteriore dell’oggetto che deve essere movimentato: missili e razzi, per l’appunto.
Alcuni brani tratti dal suo diario . All’inizio della gioventù, in seno alla comunità salesiana, aveva iniziato a tenere un diario. Nelle sue riflessioni ricorrono costantemente quattro temi fondamentali: la vita religiosa, lo studio, la santità e la devozione alla Vergine Maria.
Vita religiosa . Al riguardo, afferma di voler impegnarsi a fondo per conoscerla e adattarsi alla vita comunitaria, mantenere un’assoluta fiducia nei superiori, informarsi sulla congregazione, leggere libri religiosi, per lo più storie di vita edificanti ed in particolare quelle di San Giovanni Bosco, San Francesco di Sales, San Stanislao di Kotzka. Il tutto nell’intento di raggiungere una profonda vita interiore, rimanendo saldo nella fiducia in Dio che tutto può e non in “se stesso” che nulla può senza Dio. Nel ricordare la sua permanenza nel collegio Sant’Ambrogio di Milano, raccontava a padre Flores che un canonico del Duomo, del cui coro faceva parte, desiderava che si facesse sacerdote secolare, fino a quando non fosse diventato canonico; cosa che lo faceva sorridere, forse perché a Cuenca riuscì davvero ad ottenere una simile onorificenza.
Studio. Afferma che “un buon libro è un buon amico”. Lo studio è utile e indispensabile. Bisogna studiare sempre con diligenza e attenzione tutto quanto ci viene insegnato, a prescindere dai gusti personali, perché è necessario sapere tutto. Una buona formazione è fondamentale, non per la vanità d’essere apprezzati dagli altri, ma per un percorso voluto da Dio.
Santità. Riguardo a ciò, si proclama desideroso di cercarla, ripromettendosi di continuare a farlo sull’esempio di San Giovanni Bosco, che ha voluto per il proprio ordine giovani sani, studiosi e santi. L’anelito di santità deve permanere in tutti i momenti della vita. Nel refettorio, ad esempio, rendendo grazie per il cibo, con santa indifferenza per quanto ci viene dato, in raccoglimento e senza golosità; durante la ricreazione, con discrezione, senza offendere mai nessun compagno, evitando di parlare di se stessi e dei propri problemi… Crespi ritiene che la santità si ottenga con l’esercizio della virtù, l’osservanza dei santi voti, l’umiltà, la povertà: “non dobbiamo desiderare più di quanto abbiamo” e facendo sempre riferimento alla spiritualità. Più avanti insiste sull’argomento parlando di castità, evitando ogni pensiero che possa offenderla, e di obbedienza pronta, specialmente riguardo a quanto ci infastidisce; si ottiene inoltre attraverso la pratica della pietà, con la preghiera fervorosa e devota recitata col cuore; con la dolcezza e l’affabilità nei confronti di tutti e in special modo di quelli di casa. Citiamo testualmente: “Ricercherò la bella virtù dell’umiltà sforzandomi in ogni occasione di praticarla”. “Sento una voce che mi dice: fatti santo” “… sì, farmi santo salesiano, ricco di fervore, esemplare”; “fa’ tutto ciò che puoi per portare le anime a Dio”; “devo assolutamente impegnarmi anche in mezzo alle contraddizioni più marcate, mantenere la santa calma di Dio”; “la purezza è dono di Dio e frutto di una continua vigilanza”… “A che servirebbero le mie parole se tu non le fecondassi? Preparati, prega, sii buono, soprattutto sacrificandoti: fatti santo”. “È una voce nuova, insistente, che si ripete in questi giorni, una sacra nostalgia di paesi infedeli; motivata talvolta dal desiderio della conoscenza scientifica. Oh, Signore, sono disposto a tutto, ad abbandonare la famiglia, i parenti, i compagni di studio, pur di salvare qualche anima; se questo è ciò che desideri, se questa è la tua volontà”.
Cuenca – Statua di Maria Ausiliatrice presente nel nuovo Santuario, già presente in quello precedente.
Culto a Maria. Lo considera una pratica costante, soprattutto nel mese a Lei dedicato. Bisogna pronunciare continuamente giaculatorie come “Regina concepita senza peccato” o “Santa Maria Martire, prega per noi”. Per amore della Vergine, si propone di digiunare il sabato: mangiare e bere la metà di quanto riceve per colazione, pranzo e cena. Per Maria, chiede di impegnarsi ulteriormente per trattare meglio tutti i suoi compagni e per “acquisire la dolcezza e l’amabilità proprie di nostro Signore Gesù Cristo, di don Bosco, di San Francesco di Sales”, qualità che dovrebbero appartenere ad ogni buon salesiano: “per Maria sarò puntuale e sarò da esempio per tutti i miei compagni”.
“Chiederò al Signore, alla Vergine Santissima e a San Giuseppe la grazia di poter ottenere la virtù della purezza.” E aggiunge: “Vergine, ti amo, ti amo più di ogni creatura: fa’ che il tuo amore si conservi nel mio cuore ed aumenti e si diffonda con mirabili opere di zelo, Amore, Amore!”
Altri temi preferiti. Fra gli altri, insiste continuamente nell’introdurre nella sua quotidianità la recita di giaculatorie volte ad ottenere indulgenza per le anime del purgatorio. In varie occasioni, afferma di aspirare alla conoscenza dei propri difetti e limiti. “Mi sforzerò di occupare tutto il tempo e di non perdere nemmeno un minuto”.
Rispondendo a padre Flores, nel ricordare la sua infanzia, afferma di non aver sofferto la povertà, ma di aver aiutato i poveri. In un’altra occasione, racconta: “quando ero ancora un bambino, mi privavo di una parte dei miei alimenti per darla ai poveri”. Ricorda anche il museo di Valsalice, con cui collabora alla raccolta di campioni, confessando di aver sempre nutrito interesse per i musei, visitati e studiati nel corso dei viaggi in Italia.
In un suo diario dell’epoca, si legge: “Vergine, ti amo, ti amo più di tutte le creature; fa’ che il tuo amor si conservi nel mio cuore, aumenti e si irradi in ammirabili opere celesti. Amore! Amore!”. Sotto l’annotazione 4 agosto 1919 si legge: “Sento una voce che mi dice «Fatti santo! Si, voglio farmi un santo salesiano, fervoroso, esemplare; voglio fare tutto ciò che posso per portare anime a Dio. Il 5 ottobre si legge: ”Devo assolutamente sforzarmi, seppur in mezzo alle mie tante contraddizioni, di mantenere la santa calma di Dio”. Il 7 ottobre: “La purezza è dono di Dio e frutto di una continua vigilanza”. Il 16 febbraio del 1920: “A che vale la mia parola se Tu non la rendi feconda? E ancora: “Preparati, prega, sii buono, soprattutto sacrificati: Fatti santo! II sacerdote deve essere santo”.
Luisa Croci Crespi, mamma di don Carlo, in tarda età. Morì il 21 marzo 1944.
Nel frattempo Don Carlo ha “la visita del Signore”. Così egli definirà la morte di suo padre Daniele, che per diversi anni compì con estrema coscienza il suo delicato lavoro di Fattore della famiglia Borsani e di bachicoltore, per garantire ai suoi numerosi figli, vita dignitosa e possibilità di studi. Il 12 ottobre del 1919, a 53 anni di età, fu stroncato da una morte tanto prematura quanto repentina. La famiglia ne fu duramente colpita; il testimone, però, fu raccolto dalla moglie Luisa Croci, donna di fede e tempra eccezionale che si caricò sulle spalle tutto il peso della sua vedovanza. I figli, impegnati nei loro studi, rimasero sconcertati e, per quanto di competenza, si diedero da fare per aiutare la madre. Tuttavia, con enormi sacrifici tutti poterono proseguire gli studi e raggiungere i propri ideali. Don Carlo fu quello che ne rimase più afflitto, ma con fede pronunciò il suo eroico “fiat”.