Don Carlo Sacerdote (Parte Terza)

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2008-04-15 11.59.52
Don Carlo cinquant’anni dopo
P. CRESPI JOVEN
Don Carlo giovane Sacerdote

All’inizio del 1967, nell’anno del suo 76° compleanno, consumato da un’intensa vita di lavoro e sacrificio, padre Crespi si apprestava a celebrare solennemente il Giubileo sacerdotale.
Così commentò l’avvenimento il giornale El Universo di Guayaquil in un articolo pubblicato il 2 gennaio: “Benemerito sacerdote compie 50 anni di apostolato esemplare”. E prosegue in questi termini: “La cittadinanza di Cuenca, le istituzioni culturali, le organizzazioni dei lavoratori, le autorità e le forze vive dell’urbe si preparano a rendere uno speciale omaggio a uno dei sacerdoti di maggior prestigio in mezzo a noi, il Rev.do padre Carlo Crespi, Salesiano di don Bosco, in occasione della celebrazione delle sue Nozze d’Oro Sacerdotali. A tale scopo è stato costituito un Comitato Centrale incaricato di elaborare un ampio programma che avrà inizio con una grande kermesse domenica prossima, 15 corrente mese, nei locali della Casa Salesiana, ubicata nel quartiere di Maria Ausiliatrice.
D’altra parte, la cittadinanza in generale, senza distinzione di classe e di credo politico, sta rispondendo positivamente alla pubblica raccolta di fondi, iniziata sotto i migliori auspici, con lo scopo di sostenere la grande opera sociale e umana del Rev.do padre Carlo Crespi, noto religioso e missionario salesiano italiano, insediatosi nel nostro paese, e in special modo a Cuenca, all’incirca 45 anni fa.
Le opere, di questo religioso che compirà proprio in questi giorni 50 anni di fecondo sacerdozio, sono l’istituzione delle organizzazioni sociali di carità e tutela dei bisognosi, in particolare della Scuola Cornelio Merchán, nella quale circa un migliaio di bambini poveri, o di scarse risorse economiche, riceve un’educazione grazie all’abnegazione e al sacrificio di questo eccellente sacerdote salesiano che, spogliandosi di pregiudizi terreni, ha costituito in mezzo a noi un vero esempio di apostolato e di Chiesa; per questo si è guadagnato l’affetto degli abitanti di Cuenca, da conseguire un riconoscimento dall’Amministrazione comunale e da essere proclamato Figlio Illustre di questa città.
Il Giubileo d’Oro Sacerdotale di questo nobile educatore, valente archeologo e missionario infaticabile, rappresentano un avvenimento sociale e culturale, al quale si accinge a intervenire l’intera città di Cuenca, nell’intento di offrire il giusto riconoscimento del mondo conadino a padre Carlo Crespi, simbolo della fede cristiana dell’autentico popolo Azuayo”.
La Sala della Città del municipio di Cuenca ospita alcuni eventi organizzati dalle autorità e dalla cittadinanza allo scopo di rendergli pubblico omaggio. Alle celebrazioni aderiscono varie istituzioni.libro1

Tra queste il Collegio Manuela Garaicoa de Calderón, diretta da Dora Beatriz Canelos Carrasco, collaboratrice salesiana che incarica l’autore di questa biografia di partecipare a nome dell’istituto e di esprimersi così:
“La sottoscritta, in rappresentanza del Collegio Manuela Garaicoa, desidera partecipare, insieme alle altre istituzioni di questa città, alla tua gioia per le il Giubileo d’Oro Sacerdotale celebrato ieri, 29 gennaio 1967.
Cinquant’anni di opera sacerdotale sono un premio grande di Dio e, tanto più, se questi sono stati straordinariamente fecondi e colmi di cuore, al pari dei tuoi maestri, compatrioti e compagni, San Francesco di Assisi e San Giovanni Bosco.
Mezzo secolo di sacerdozio, con una pienezza che riempie tutte le minime esigenze, capace come pochi di coronare questo ideale, che tutti noi abbiamo, del ministro di Dio; giustificando, senza il minimo dubbio, la ragione e l’essenza della vita. È – ripeto – un grande premio dell’Essere Supremo l’aver noi, abitanti di Cuenca, condiviso e beneficiato delle tua feconda vita.
È con vero piacere che ci uniamo alla gioia che ti viene dall’essere stato per cinquant’anni mediatore tra Dio e gli uomini. Mediatore, ossia, scelto da Dio per parlare agli esseri umani e scelto da noi per avvicinarci a Lui. Mediatore tra Dio e il mondo, vale a dire, uomo di Dio e uomo di mondo, un uomo che ha molto di Dio”.

Le Esplorazioni nell’Oriente dell’Ecuador (parte terza da “Siervo de Dios Padre Carlos Crespi Croci …”)

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Carta geografica della Provincia Morona-Santiago, dove si trova la strada El Pan-Mendez

Carlo Crespi compì viaggi nell’Oriente dell’Ecuador in molte e varie occasioni. Degno di nota fu certamente quello che realizzò nel 1928, in compagnia del Governatore dell’Azuay e di diverse autorità, al termine della quale un giornalista del quotidiano El Comercio (edito nella capitale) scrive un reportage, il cui contenuto trascriviamo qui di seguito:
“Intervistiamo il reverendo padre Carlo Crespi, missionario salesiano, ritornato dalla regione orientale di Mendez in compagnia del Governatore dell’Azuay, Daniel Córdova Toral1 nominato Ministro della Pubblica Istruzione, l’Ingegner A. Velenzuela, direttore delle Opere Pubbliche dell’Azuay e del suo seguito. L’attivo missionario, persona a noi nota per il suo costante entusiasmo, non sembra stanco per il lungo viaggio.
Lei ha viaggiato in compagnia del Signor Ministro Egüez Baquerizo?
No, il Signor Ministro dell’Oriente e i suoi accompagnatori si diressero a nord; e Córdova Toral a sud, nell’importante zona di Mendez, dove si sta lavorando da alcuni anni  per lo sviluppo di un piano di colonizzazione.
Motivo del viaggio?
Un vivo desiderio del Dottor Córdova di conoscere una zona così importante; l’impazienza dei missionari di ottenere un’ispezione del direttore delle Opere Pubbliche dell’Azuay sui lavori svolti, e il desiderio dei giornalisti, Dottor Sarmiento e Signori Talbot e Murillo, di conoscere maggiormente il problema orientale; della commissione studentesca del Collegio Benigno Malo, presieduta dal Dottor Muñoz e composta dai Signori Malo; e della commissione operaia composta dai Signori Cisneros e Nuñez, tutti spinti dal desiderio di collaborare all’opera patriottica della colonizzazione orientale.
Il viaggio è stato molto rapido?
Rapidissimo. Questo è il resoconto cronologico del viaggio:
– 14 marzo: Partenza da Cuenca e viaggio in auto per 16 chilometri fino a El Descanso. Dopodiché, circa 40 chilometri a cavallo, con una capatina nel simpaticissimo cantone di Paute e nel pittoresco villaggio di Guachapala, fino ad arrivare alla Casa Missionaria Salesiana nella parrocchia di El Pan, oggetto di molteplici attenzioni da parte delle autorità civili e religiose.
– 15. Partenza da El Pan lungo la mulattiera che i salesiani stanno costruendo sotto la direzione di padre Albino del Curto. Pranzo alla fattoria del General Ribadeneira e arrivo alla confortevole stazione di posta di Pailas alle 5.30 del pomeriggio.
– 16. Partenza a cavallo da Pailas e arrivo alle abbondanti acque del rio Negro, al km 50 della mulattiera; breve sosta per il pranzo e proseguimento a piedi lungo una comoda pista, sino alle importanti colonie di Santa Elena e Copal, in piena zona orientale, ad un’altitudine di 800 metri: panorami stupendi, clima invidiabile, prodotti eccellenti.
– 17. Partenza da Copal alle 7, spuntino alle 9 e mezzo nell’azienda del Signor Ochoa, proseguimento della marcia. Altra sosta presso l’impresa del Signor Pesantez, attraversamento del Partidero e discesa nella valle di Mendez. Alla una, primo incontro con i bambini jivaros della Scuola Salesiana, ove sventola una bandiera ecuadoriana; più sotto, vicino al fiume Namangosa, incontro con folti gruppi di shuar e coloni che sparano colpi di fucile in segno di saluto, mentre si passava il colossale ponte sul fiume Namangosa, ultimo incontro nelle vicinanze della Missione con una folla di coloni e con le bambine delle reverende madri salesiane che offrirono fiori alle autorità. Presso la Casa Missionaria si organizza un’imponente parata, composta da mille persone; un vero e proprio battaglione pronto a versare fino all’ultima goccia di sangue in difesa della patria.
– 18. Giornata di riposo presso la Casa Missionaria. Ricevimento dei coloni e degli shuar.
– 19. Festa della Bandiera. Solenne consegna alla Colonia di Mendez di una bandiera artistica, donata dal Collegio Benigno Malo di Cuenca. Un grandioso discorso del reverendo padre Conrado Dardé, con una struggente risposta del Dottor Córdova Toral. Nel pomeriggio premiazione degli shuar più progressisti e fedeli alla Missione. Organizzazione di una grande battuta di pesca sul fiume Cuchanza a cura dell’Ingegner Valencia.
– 
20. Visita delle abitazioni dei coloni e degli importanti lavatoi dell’oro del Paute, gestiti dal Signor Villagomez. Pranzo nella Tenencia Política.
– 21. Visita delle colonie dell’Upano, condotta dai membri del Collegio Benigno Malo, dalla confederazione operaia e da Sarmiento. Il Signor Governatore riceve gli shuar e i coloni. L’Ingegner Valencia continua la meticolosa revisione delle strade, delle opere d’arte e dei conti.
– 22. Solenne premiazione dei coloni più progressisti. Saggio degli allievi shuar e coloni dei vari istituti, visita del campo sperimentale dotato di stazione meteorologica, di forni di calce, tegole e mattoni, della scuola di lavori manuali fondata dalle madri salesiane, dell’Ospedale Quito, recentemente inaugurato. Preparativi per il viaggio di ritorno.
– 23. Partenza dalla casa missionaria, arrivo a Copal, alle due del pomeriggio. Viaggio eccellente e veloce.
– 24. Partenza da Copal. Arrivo a Rio Negro a mezzogiorno, ricevimento solenne dei lavoratori stradali con esplosione di cento colpi di dinamite e conseguente eliminazione di diversi metri cubi di roccia che ostacolano il passaggio sulla Loma del Incienso.
– 25. Partenza a cavallo da Rio Negro e arrivo a El Pan; mattino piovoso, uggioso; pomeriggio splendido: 50 chilometri in otto ore, accoglienza trionfale da parte del Capo Politico del cantone di Paute, delle autorità e della popolazione.
– 26. Partenza da El Pan, ricevimento solenne a Guachapala, pranzo nella casa del Capo Politico, Signor Ordóñez. Ingresso trionfale a Paute con parata degli alunni delle scuole e autorità. Alle cinque del pomeriggio, partenza rapida lungo la strada per El Descanso: accoglienza indimenticabile; il rettore dell’università, l’amministratore, il Capo Zona, il Consiglio Municipale, tutte le autorità, i notabili di Cuenca salutano festosamente gli esploratori dell’Oriente, mentre le corporazioni operaie e gli studenti del Collegio Benigno Malo elevano acclamazioni di gloria.
I visitatori hanno avuto una buona impressione?
Eccellente. La natura lussureggiante, il grande lavoro svolto lungo il cammino, la colonia, l’opera di civilizzazione dei missionari formano un insieme armonico di attività che impressionerebbe anche il peggiore dei pessimisti.

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1917 Lavori di costruzione della strada Pan – Mendez – Quarto da destra, vestito di nero, don Albino Del Curto

Quando sono stati avviati i lavori della strada che collega El Pan a Mendez?
L’idea di costruire una strada venne inizialmente a padre Albino del Curto nell’anno 1915, quando, nell’inaugurare la Missione di Mendez esclusivamente tra gli shuar, sentì la necessità d’intraprendere una grande opera di colonizzazione. Monsignor Costamagna stanziò i fondi per la prima tratta. Superate enormi difficoltà e data l’importanza della strada, il General Ribadeneira, Capo Zona di Cuenca, e la Società di Studi Storici e Geografici,2 ottennero piccoli sussidi governativi. I missionari, convinti che una buona mulattiera non si può realizzare senza fondi, firmarono, il 12 settembre 1925, un contratto con il governo e quindi avviarono i lavori con una costanza e un’energia davvero ammirevoli.
La nuova strada diventerà una carrozzabile?
No. Per il momento, non possiamo definirla in questo modo. La strada da El Pan a Mendez è solo una comoda via di penetrazione a cavallo; il contratto si riferisce a una mulattiera lunga 75 chilometri ed è suddiviso in due parti: la prima consiste nella ristrutturazione di un tratto di 30 chilometri che collega El Pan a Pailas; la seconda nella costruzione di 45 chilometri di strada da Pailas a Mendez.
La strada sarà terminata a breve?
Se il sostegno della Direzione delle Opere Pubbliche continuerà ad essere così determinante, confidiamo di riuscire a terminarla nel 1929. Negli ultimi due anni, abbiamo aperto 45 chilometri di strada veloce e comoda e abbiamo ristrutturato 10 chilometri da El Pan a Pailas; inoltre, abbiamo scavato nella roccia 16 chilometri, da Pailas fino al rio Negro e Loma del Incienso, in maniera da garantire il traffico su bestie da soma lungo una tratta di 50 chilometri nel cuore della regione orientale.
Questi 50 chilometri di mulattiera sono totalmente praticabili?
Per i coloni dell’Azuay che entrano nell’Oriente è una vera e propria strada, e così sono abituati a definirla a paragone delle pessime piste che collegano i diversi cantoni dell’Azuay; noi missionari salesiani, ci impegneremo a fondo e prima di abbandonare la linea sentiamo il bisogno di migliorare alcuni punti di gradiente eccessivi lungo la discesa di Cerro Negro, nonché altri tratti di strada della zona boschiva umida dell’Oriente che tendono a diventare fangosi a causa delle continue precipitazioni. Inoltre, sarà opportuno insaccare la linea nei tratti lavorati prima della firma del contratto, evitando di usare la dinamite.

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Tratteggio della strada El Pan – Mendez

A parte questi inconvenienti, la realizzazione della linea di Mendez procede?
Non intendo anticipare il giudizio autorevole dell’Ingegner Valencia; tuttavia, la valutazione di tutti i membri della delegazione è stata positiva; non vi sono parole per descrivere l’opera dell’eroe di quelle foreste, padre Albino del Curto che, senza ricevere un centesimo e per puro spirito umanitario, passa la vita in isolamento, lavorando nella regione. D’altro canto, l’intera Missione Salesiana dell’Ecuador, composta da 50 missionari, è decisa a non scoraggiarsi fino a quando non avrà consegnato alla colonia di Mendez una comoda e sicura via di penetrazione.
Quanto deve ancora il Governo?
Il Governo ha stanziato sinora quarantottomila sucre e ne deve ancora investire sessantaduemila, con erogazioni mensili. Inoltre, disponiamo di fondi sufficienti alla realizzazione di un grande ponte sul fiume Namangosa, raccolti grazie al Comité Patriótico Orientalista de Señoras di Guayaquil.
A che punto sono i lavori del ponte?
Come Lei sa, appena raccolti i fondi, nel 1924 il reverendo Albino del Curto ha costruito un ponte provvisorio al servizio della colonia. La struttura ha svolto un’importante funzione di collegamento fino all’aprile del 1927. A causa delle enormi piene dei fiumi e dei colossali disboscamenti che hanno interessato per chilometri foreste e intere zone alberate, il ponte ha subito diversi danni; le acque hanno rimosso le tavole, mentre è rimasto intatto l’ormeggio dei cavi sulla riva sinistra. Dal momento che non era possibile lasciare una zona di tale importanza priva di vie di comunicazione, si è provveduto prontamente alla costruzione di un altro ponte pedonale, da utilizzarsi anche per la posa di quello definitivo. Si tratta di un ponte di ferro lungo 65 metri che sarà sostenuto da otto cavi da un pollice, con ancoraggi in muratura. Il lavoro di costruzione del ponte è stato affidato al fratello Pancheri che già conosciamo.

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Rio Negro
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Ponte sul Rio Negro

Lungo la strada si trovano altri ponti importanti?
I principali sono i ponti sul fiume Ghiru, lungo 45 metri, sul rio Negro, lungo 30 metri, e un’altra dozzina di ponti, lunghi da 10 a 20 metri, che attraversano vari fiumi e canyon.
Si è parlato anche di una linea telefonica?
Certamente. Il 24 maggio dell’anno scorso, è stato inaugurato il primo tratto di 60 chilometri, da Paute fino alla stazione di posta di Rio Negro. Sperimentata la possibilità di una linea telefonica in pieno Oriente malgrado le forti bufere e le piogge frequenti, il prossimo 10 agosto confidiamo di riuscire ad inaugurare il servizio telefonico fino alle colonie più avanzate di Mendez, con il proposito di raggiungere il fiume Yaupi e Puerto Proaño, in prossimità del confine peruviano.
Si è parlato molto della colonia di Mendez, del suo sviluppo e della sua importanza. Si è forse esagerato?
Avrà letto sui giornali il giudizio espresso in proposito dal Dottor Córdova Toral, attuale Ministro della Pubblica Istruzione. Posso solamente dirle che il 19 marzo, mentre veniva alzata la bandiera nazionale sul suolo orientale, la piazza della Missione ha rappresentato un insieme di forze davvero commovente. Le centinaia di coloni presenti con mogli e figli, felici della propria condizione, manifestavano chiaramente che a Mendez esiste ormai una volontà decisiva, un pacifico esercito di uomini che pare ripetere con sacro orgoglio: “Questa è la nostra terra, da qui non si passa”.
Dunque Mendez può essere considerata una vera e propria città?
Né una città, né un vero villaggio. Sulle alture che costellano la missione si tengono grandi riunioni di shuar e oltre 600 coloni sono stanziati ai lati della strada e della valle di Paute. I nuclei di coloni più consistenti vivono a Santa Elena e a Copal; 40 famiglie, più o meno, e altre 70 famiglie abitano nei dintorni della Missione Salesiana e della Tenencia Política.
La colonia esiste da molti anni?
Diversi tentativi di colonizzazione, fatti nel 1919, sono falliti miseramente per mancanza di strade. Il vero sviluppo si è avuto nel 1925, al termine della costruzione della strada che collega El Pan a Mendez.

Da questa intervista possiamo arrivare ad alcune conclusioni:
In primo luogo, che l’Ecuador non aveva vie di accesso a questa regione tanto estesa e che le prime strade stabili le costruirono i missionari salesiani, tra i quali il più attivo fu padre Albino del Curto.
In secondo luogo, che vi fu un forte desiderio degli ecuadoriani di sostenere questo opere, come lo si deduce dalla collaborazione patriottica di un comitato femminile di Guayaquil, dalla partecipazione di studenti, di lavoratori, cosi come del Centro Studi Storici e Geografici, che aveva tra i suoi membri noti pregevoli scrittori che avevano pubblicato opere che sostenevano la necessità della colonizzazione e della costruzione di strade, tra cui Remigio Crespo Toral, Luis Cordero e Rafael Maria Arízaga.
In terzo luogo, si evidenzia l’affetto che Carlo Crespi nutriva per la regione orientale dell’Ecuador e per la sua integrazione nel contesto nazionale; sentimento che si amplifica nel corso della sua esistenza e che funge da esempio per molte persone. In ogni situazione risaltò il ruolo importante da lui svolto per la comunità salesiana.
Da ultimo, analizzando l’intervista, possiamo concludere che padre Crespi ebbe idee molto chiare e che fosse in grado di fornire informazioni precise sin nei dettagli e, che in generale ponesse un’intelligenza superiore e un’indomita volontà nel servire la sua nuova patria e nel guidare il suo sviluppo, ponendo maggior attenzione ai più bisognosi d’istruzione e di spiritualità cristiana.
I nomi citati da padre Crespi corrispondono a diversi delle varie personalità che promuovevano queste opere. Tra costoro, Francisco Talbot, membro del Centro di Studi Storici e Geografici; Manuel Muñoz Cueva ed Emilio Murillo, professori del Collegio Benigno Malo. Anche se l’opera dei salesiani, a detta di tutti, fosse ben orientata, ebbe critiche provenienti da settori che non capivano questi ardui lavori e che, a loro volta, pretendevano risultati immediati; soprattutto nel processo di integrazione degli shuar alle abitudini del mondo occidentale. Dopo la pubblicazione di un articolo a questo proposito, Carlo Crespi scrisse al giornale El Día una “lettera aperta” che il 2 luglio 1928 venne commentata da un giornalista de El Comercio di Quito, in questi termini: “In questo scritto palpita la voce sincera della verità… Non c’è una sola frase che riveli indignazione e collera: una soave e magnanima serenità mantiene il tono tranquillo, dal principio alla fine… Forse non è necessaria alcuna difesa, poiché le accuse mosse sono cadute nel vuoto”. Nelle sue riflessioni padre Crespi afferma che “i missionari salesiani sono convinti che solo dopo molti anni e molte generazioni riusciranno a colonizzare l’etnia shuar… Non si arriverà a nulla di positivo se non attraverso una perfetta, cordiale e sincera unione fra le autorità civili, religiose e i coloni; uniti contro il nemico comune: la mancanza di vie di comunicazione”3

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La chiesa di Macas oggi

Energia elettrica a Macas e altri servizi
Nel 1932, a Macas, porta con sé una turbina, una dinamo, cavi metallici e altre attrezzature indispensabili all’installazione dei servizi di illuminazione elettrica. Tutto fu trasportato a spalla fino a El Pan e, da lì, all’Oriente, coprendo una distanza superiore ai 120 km. Il 16 settembre si inaugurò il servizio di illuminazione. L’anno seguente entrarono in funzione anche una piallatrice e una segatrice.
Nel 1934, insieme ad altri accompagnatori, si trovò sulla cordigliera del Cutucú, impegnato in una difficile salita e discesa. Rimase presso le missioni orientali per un certo periodo; vi furono delle occasioni in cui fece delle incursioni a scopo scientifico, senza però omettere di ideare e realizzare azioni missionarie. I superiori lo assegnarono definitivamente a Cuenca, al servizio della quale rimane sino alla morte. Tra i suoi appunti abbiamo trovato una relazione sulle missioni e un programma di attività da realizzare nel 1928, da cui emerge la necessità di realizzare o di ristrutturare costruzioni in molte missioni: Macas, Mendez, Indanza, Gualaquiza, Aguacate, Cuenca, e calcola inoltre che per realizzare tutto ciò fossero necessari 300.000 lire. Accanto a queste inquietudini, ne espresse altre di carattere spirituale, e affermò che lo preoccupasse la penetrazione del protestantesimo nei territori orientali dell’Ecuador.
Delle missioni si occuparono altri sacerdoti e, coloro che conobbero padre Crespi, ricevettero i suoi consigli e furono contagiati dal suo entusiasmo, dal suo dinamismo e dalla sua intraprendenza. Egli ebbe sempre nostalgia dell’Oriente e raccontò la vita e l’attività svolta per la colonizzazione e per i suoi amati “piccoli jivaros”.

  1. Daniel Córdova Toral, uomo politico liberale, nato a Machala nel 1886, muore a Cuenca nel 1958. I suoi antenati e i suoi discendenti sono cuencani. Governatore dell’Azuay, presidente del Municipio di Cuenca, direttore degli Estudios del Azuay, professore di filosofia del Collegio Benigno Malo, esercita il rettorato in vari periodi. Nel 1928 è nominato governatore e quindi Ministro dell’Istruzione dal presidente Isidro Ayora. Nel 1941 è presidente della Giunta Patriottica istituita a tutela dell’integrità territoriale dell’Ecuador. Detiene la cattedra di economia politica e di diritto internazionale presso l’Università di Cuenca. Deputato in diverse legislature per le province Azuay e Cañar, assume la carica di vicepresidente della Camera dei Deputati nel 1931 e la presidenza del governo di Galo Plaza Lasso, nel 1951. Diventa anche senatore e vicepresidente della Repubblica in sostituzione di Abel Gilbert. Durante le sue gestioni, nascono a Cuenca la Scuola Normale Manuel J. Calle e gli Istituti Luis Cordero e Tres de Novembre []
  2. Fondato nel 1915, sotto la direzione di P. Giulio Maria Matovelle, il Centro Studi Sorici e Geografici di Cuenca si prefigge, tra i principali obiettivi, l’efficace integrazione dell’Oriente Ecuadoriano nella vita nazionale, quale unico mezzo di difesa dei territori ecuadoriani. A tale fine, riceve l’incarico di realizzare alcune opere in collaborazione con i padri salesiani. []
  3. “L’esposizione di un missionario”, El Comercio, Quito, 2 luglio 1928. Ritaglio conservato nell’Archivio Storico dell’Ispettorato Salesiano. []

Le Esplorazioni nell’Oriente dell’Ecuador (parte prima da “Siervo de Dios Padre Carlos Crespi Croci …”)

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P. Crespi con P. Del Curto in piroga con coloni e indios shuar

Con l’incarico ricevuto cominciò la raccolta degli oggetti per l’Esposizione Missionaria Mondiale, da celebrarsi a Roma, in occasione dell’Anno Santo (1925). Terminata a Castelgandolfo, l’Esposizione di trasferì a Torino per commemorare solennemente i primi cinquant’anni delle missioni salesiane. Per portare a termine questa fatica, P. Crespi mise in pratica tutte le sue conoscenze universitarie, soprattutto nella raccolta dei minerali, della flora e della fauna. Tuttavia andò oltre e cominciò a entusiasmarsi per i temi etnografici e archeologici che, in seguito, assorbiranno molto tempo della sua lunga vita.

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Vista sulla chiesa centrale di Gualaceo

Dopo un primo percorso di tre mesi, che iniziò da Cuenca, don Carlo passò per Gualaceo e Indanza fino ad arrivare al rio Santiago, percorse la valle del rio San Francesco, la laguna di Potococha, Tre Palme, culebrillas, Potrerillos (la località più in alto, a 3800 metri s.l.m.), il rio Ishpingo, la collina di Puerco Grande, Tinaajillas, Zapote, la collina di Puerco Piccolo, Pian di Miracolo e Pianoro. In ognuna di queste località raccolse materiale per poi seccarlo e inserire nelle diverse rcollezioni. Tutto catalogò e registrò in vari taccuini da campo e documentò con numerose fotografie.
Fece una seconda esplorazione lungo la Limon, quella di Peña Blanca e Tzaranbiza, e lungo il sentiero di Indanza.
Come si può dedurre, le esplorazioni di don Carlo nell’Oriente ecuadoriano furono difficili perché vi erano solamente delle mulattiere, oltre a precipizi, condizioni climatiche inospitali, belve pericolose, serpenti mortali e malattie tropicali e, a tutto ciò, poi, si aggiungeva il pericolo di attacchi da parte degli indomiti abitanti dell’Oriente.
Superando tutte queste difficoltà, don Carlo riuscì a raccogliere 600 varietà di coleotteri, 60 uccelli imbalsamati dal bellissimo piumaggio, muschi, licheni e felci. In totale Padre Crespi riescì a studiare 200 specie locali, assieme al professor Roberto Bosco, il quale esaminò non soltanto i campioni raccolti da lui, ma anche quelli raccolti dai botanici Allioni e padre Sodiro, trasformando il suo lavoro in una tesi di dottorato, per laurearsi  in Scienze Naturali presso l’Università di Torino nel 1938. Utilizzando le sottoclassificazioni dei luoghi percorsi dai naturalisti, seguendo P. Sodiro, trovò 21 felci della zona tropicale che si trova sotto gli 800 metri s.l.m.; 72 a quella sub-tropicale che si trova tra gli 800 e i 1500 metri s.l.m.; 102 alla zona sub-andina che si trova tra i 1500 e i 3400 e 19 a quella andina, che supera i 3600 metri s.l.m.
In questo stesso periodo P. Crespi cominciò ad elaborare un docmento sulla cultura shuar e a scrivere articoli e saggi sull’Oriente.
Le specie maggiormente degne di nota studiate da Roberto Bosco, e che qui si riportano, perché alcune hanno preso il nome da padre Crespi, sono le seguenti:

  • Loxomopsis Lehmannii Hier, della specie Glabra, individuata a Indanza a 900 m s.l.m..
  • Loxomopsis Lehmannii Hier, della specie Crespiana, individuata nei pressi del Plan de Milagro, a circa 1.500 metri di altitudine.
  • Dryopteris Crespiana, individuata sul Plan de Sapote, a circa 2.100 metri di altitudine.
  • Dryopteris Vaccanea, individuata sul Plan de Sapote, a circa 2.100 metri di altitudine.
  • Polybotria Crespiana, individuata a Indanza, a circa 950 metri di altitudine.
  • Asplenium Mattirolli, individuata sul Plan de Milagro, a circa 1.500 metri di altitudine.
  • Jamesonia Crespiana, individuata a Gualaceo e Culebrillas, tra i 2.200 e 2.500 metri di altitudine.
  • Adsintum Crespianum, individuata a Indanza, a circa 960 metri di altitudine.
  • Polypodium Tonelli. Diversi esemplari sono localizzati sul Plan de Sapote e sul Plan de Milagro, tra i 2.100 e i 1.500 metri di altitudine.
  • Polypodium Allioni, localizzata sulle colline di Potrerillos (3.500 m) e sul Plan de Sapote (2.100 m).
  • Polypodium Crespianum, localizzata sul Plan de Sapote, a 2.100 metri di altitudine.
  • Blechnum Volubile Kaulf, della specie Milagrense, individuata Plan de Milagro, a 1.500 metri di altitudine.
  • Gleichenia Salesiana, individuata sul Plan de Sapote e sul Plan de Milagro.
  • Gleichenia Crespiana, individuata sul Plan de Milagro.

Queste ed altre specie sono conservate nell’erbario del Liceo Pedagogico don Bosco di Torino.
Come si evince da quanto appena espresso, fin dai primi itinerari, Carlo Crespi non si limita ad ammirare, ma raccoglie, classifica, appunta, fotografa, filma e documenta qualunque cosa attragga le sue attenzioni di studioso. Questo è quel mondo magnetico che già gli vibrava nel cuore ancor prima di arrivarci e del quale così scriveva il 19 marzo del 1922: “In questi giorni una voce nuova, insistente, mi suona nell’animo, una sacra nostalgia dei paesi di missione; qualche volta anche per il desiderio di conoscere in particolare cose scientifiche. Oh Signore! Sono disposto a tutto, ad abbandonare la famiglia, i parenti, i compagni di studi; il tutto per salvare qualche anima, se questo è il tuo desiderio, la tua volontà”.
Anche gli indios, che i suoi confratelli fino a quel momento hanno considerato soprattutto come selvaggi da restituire a salvezza, sono da lui considerati in un ottica antropologica e culturale, con il dovuto rispetto per le loro tradizioni, usi e costumi. A conferma di tale atteggiamento nei confronti dei Kivaros, riportiamo il brano che segue, da lui scritto dopo un’esperienza fatta tra gli stregoni di Arapicos.
“Molto si è parlato delle difficoltà di questa missione ed io non voglio nascondere che il Kivaro, il quale non fu mai dominato militarmente, né dagli ìncas, né dagli spagnoli, né dagli ecuadoriani, è fiero e superbo della sua libertà e dimostra quasi un disprezzo per tutto ciò che non è esclusivamente retaggio della sua tribù. La prodigiosa fertilità della terra, che abita, ed il clima invidiabile, lo rendono quasi sprezzante della nostra opera caritativa. La libertà stessa dei costumi e la mancanza di un culto lo rendono quasi insensibile alle dolcezze della nostra religione.
 Però, più si studia da vicino, e più ci si convince che, pure essendo un albero silvestre, su di lui si potrà certamente innestare con efficacia il buon virgulto di Cristo.
La festa del Corpus Domini dell’anno scorso mi trovavo in missione tra i selvaggi1 di Arapicos. Nella sera precedente era arrivato alla Kivaria del Ciriapa un loro capo; mi accorsi che il poveretto era infermo e che già gli stregoni si tenevano pronti per curarlo. Per non destare sospetti, facendomi vedere molto stanco, stesi per terra alcune foglie di banano, mi ci sdraiai sopra, facendo finta di dormire. Gli stregoni, credendomi addormentato, spenti i lumi, incominciarono la loro cura a base di invocazioni, di scongiuri, di strilli, e di sputi che durarono tutta la notte. Verso l’aurora, cessato l’effetto del narcotico, se ne andarono; ma io rimasi così seccato e sopratutto così inorridito da tali pratiche superstiziose e selvagge, che, fatto innalzare l’altarino per la Santa Messa, tenni loro una lunga istruzione sulla necessità di usare delle vere medicine per guarire, e nei casi difficili di ricorrere alla Vergine Santissima Ausiliatrice. Prima di partire, regalai loro alcune immagini della Celeste Patrona che io, con fede viva, avevo fatto deporre sulla tomba di San Pietro in Roma.
Verso sera ripartii per un’altra kivaria, e, radunati i bambini, incominciai ad istruirli sulla Passione di Cristo. Intanto s’era fatto scuro. Sorbito un po’ di brodo, mi ero sdraiato per terra stringendo la corona del Rosario. Ma non potevo pigliar sonno. Avevo un triste presentimento. Infatti, verso mezzanotte odo in lontananza una voce lugubre, straziante e prolungata di donna: « Il Kivaro Mascianda sta per morire! ». Sveglio i selvaggi; una donna sale all’aperto, e, mettendo le mani alla bocca in forma di tromba, intreccia un dialogo.
 Che era successo? Uno degli stregoni, malgrado la mia predica, volle sfidare la fede, e, fatti i soliti scongiuri, appena ingoiato il narcotico, ebbe un assalto epilettico, stramazzò al suolo tramortito con la bocca spalancata, con gli occhi fuori dell’orbita. Le donne spaventate gridavano come ossesse; io volevo discendere per assistere l’infermo. La mia fedele guida si rifiutò assolutamente d’insegnarmi la strada, dicendomi che gli stregoni mi avrebbero accusato di essere io la causa di quella morte, e che forse avevano ordito un tradimento. Consigliai di far trasportare l’infelice alla casa paterna, e, alla prima aurora discesi. Quale non fu la mia meraviglia, quando, penetrando all’improvviso nella casa del sinistro, vidi che i selvaggi avevano raccolto tutte le immagini dell’Ausiliatrice, e che, appesele ad una stuoia, le avevano circondate di fiori ed illuminate con torce di resina forestale.
 Mentre le donne attendevano alle faccende domestiche, due selvaggette con le mani giunte pregavano come avevo loro insegnato al mattino precedente. A questa vista rimasi commosso. Non potei trattenere le lacrime. Invitai i due angioletti ad Innalzare una fervida preghiera alla Vergine. Pochi minuti dopo giungeva la notizia che lo stregone era rinvenuto. La Madonna aveva voluto fare la grazia completa. Lo stregone, da quel giorno, si fece amico sincero dei Missionari
.
Carlo Crespi, da Cuenca, si spinse varie volte nella foresta. Alla fine di novembre, fu a Guadalaquiza. (Da Sigsig sono 75 chilometri di mulattiere, da percorrersi a dorso di mulo). Già vi erano alcuni centri abitati e piccoli avamposti missionari: Granadillas, Chigüinda, Aguacate, Rosario, Cuchipamba. A Gualaquiza la missione era appollaiata su una collina, disponeva di una cappella, di una residenza semplice, un ricovero per shuar, una piccola scuola e minuscoli laboratori di carpenteria e meccanica. Poiché per don Carlo era indispensabile aprire strade e costruire ponti, la sua opera non fu soltanto religiosa, ma introdurrà elementi culturali finalizzati al progresso. Mediante gli aiuti governativi ricevuti dall’Italia e dall’Ecuador, egli importò a più riprese dal suo paese natale utensili e macchinari, approfittando di ogni occasione favorevole per procurare materiali; come nel 1927, quando proiettò il suo documentario ad Ancón, nella penisola di Santa Elena (già provincia del Guayas) su invito della compagnia anglo-ecuadoriana Oil Fields. In tale circostanza vide alcuni cavi di acciaio, utili per la costruzione di un ponte sul fiume Paute, nell’Oriente; chiese di poterli acquisire ottenendone, non solo una risposta favorevole, ma anche una somma in denaro e i mezzi per effettuare il trasporto. Più difficile si rivelò il trasporto dal terminale ferroviario di Chanchán (nella provincia del Chimborazo) fino alla missione di Mendez (oggi provincia di Morona Santiago). Questa impresa richiese diciassette giorni e l’utilizzo di numerose persone per le pessime condizioni dei sentieri. Tuttavia riuscì a realizzare l’opera che si era prefissa con la costruzione di un ponte largo ottanta metri. Per qualche tempo diresse la missione di Macas. Tuttavia, con o senza tale responsabilità della direzione, concentrò i propri sforzi a favore di questa popolazione indigena.

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  1. Ogni qual volta nei suoi scritti ricorrerà il termine «selvaggio» egli non intende esprime un giudizio negativo, ma riferirsi al senso etimologico del termine, ovvero «abitante della selva». []

Don Carlo e il suo Museo (da “Siervo de Dios P. Carlos Crespi Croci …”) – Parte Seconda

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La Cueva de los tayos si trova nella provincia di Morona-Santiago, nel cantone di Limón-Indanza


Il Museo: Realtà o Fantasia?
Crediamo che sia necessario approfondire maggiormente il tema del museo, perché, come abbiamo già visto, la sua fama internazionale la favorirono due europei: Chiariamo, allora, perché e in che modo questi due personaggi incrociarono la strada di P. Crespi.

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Neil Armstrong e Stan Hall nel 1976 a la Cuevas de los Tayos

Erano arrivate delle spedizioni scientifiche per compiere degli studi, la più importante delle quali era stata organizzata dal Governo inglese, con la collaborazione del Governo ecuadoriano, chiamata “Spedizione scientifica a la cueva de los Tayos”, che iniziò i lavori sul campo nel 1976 e alla quale parteciparono Stan Hall1 e Neil Armstrong2. Chi scrive queste note biografiche ha avuto la fortuna di essere scelto a rappresentare l’Università di Cuenca, ad integrare il gruppo degli scienziati ecuadoriani e a completare il tutto con una relazione ((Cordero Iñiguez, Juan, La expedición scientifica a la cueva de los Tayos, Centro di Documentazione della Facoltà di Filosofia, Lettere e Scienze dell’Educazione dell’Università, Cuenca, 1976.)) della quale citerò alcuni paragrafi.

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Juan Moricz e Erich von Däniken.

Due parole sui due europei. Juan Moricz, cittadino ungherese, residente per lungo tempo in Argentina, viaggiò per l’Ecuador fino al 1965, anno in cui arrivò a “scoprire” le grotte di Los Tayos dandone notizia, successivamente, realizzando una scrittura pubblica in uno studio notarile di Guayaquil, dalla quale risulta la sua qualità di scopritore e alcune informazioni riguardanti gli oggetti rinvenuti all’interno della caverna, nonché il suo desiderio di diventarne proprietario. Moricz visitò il museo di padre Crespi, il quale lo rese partecipe delle sue teorie e, inoltre, gli raccontò, secondo quanto riferitogli dai venditori, che molte delle lastre di pietra e di metallo provenissero dalle grotte di Los Tayos.

Nel 1972, Moricz e von Dänicken si incontrarono e si accordarono di realizzare una spedizione archeologica nella grotta di Los Tayos. Secondo le loro fantasiose e false dichiarazioni, il primo capitolo del libro di Dänicken, intitolato “Aussaat und Kosmos” è il frutto di queste osservazioni.

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Neil Armstrong nella Cueva de Tayos

Tuttavia, è indubbio che il lavoro proposto con ambizioni scientifiche abbia suscitato un grande impatto, dal momento che le informazioni ivi contenute sono del tutto fantasiose e impressionanti e le notizie riportate, qualora prese sul serio, porterebbero a concludere che si tratti di una delle più significative scoperte archeologiche di tutti i tempi. In questa opera, letta da milioni di persone, Dänicken, in sintesi, afferma che, dopo un viaggio denso di pericoli attraverso la zona sudorientale della provincia di Morona-Santiago, arrivò in prossimità di un gruppo di grotte dove, secondo la sua opinione, visse l’esperienza “più incredibile” e “inverosimile del secolo”.
Scoprirono tavoli e sedie realizzati in un materiale sconosciuto, e subito dopo uno “stravagante giardino zoologico”: sauri, elefanti, leoni, coccodrilli, giaguari, cammelli, orsi, scimmie, bisonti, lupi, lucertole, chiocciole, granchi, ecc. Dall’altro lato, osservarono il “tesoro dei tesori”: la biblioteca metallica che descrive in questo modo: vi sono lamine, aventi spessore millimetrico e dimensioni pari a cm 96 x cm 48, ognuna delle quali reca una sorta di scrittura. L’incisione è regolare, come se fosse stata prodotta da una macchina.

Poiché Moricz si oppose a che venissero fatte fotografie, per timore che accadesse qualcosa di tragico: l’improvvisa chiusura della via di risalita, lo scatenarsi di un raggio laser o qualunque altra diavoleria ai danni degli audaci violatori di questo recinto sacro, ottenne il permesso di fotografare le lamine custodite nel museo Crespi di Cuenca e su di esse stila una relazione. Von Dänicken, è convinto che il tutto sia opera di esseri provenienti da altri pianeti e rilascia spiegazioni di queste strane incisioni di animali, piramidi, velivoli o esseri umani mostruosi.

Tutte queste sono fantasie create deliberatamente con l’intento di vendere l’opera, senza rispettare il buon nome di padre Crespi e approfittando della buona fede dell’anziano sacerdote, per conseguire una cospicua fortuna personale. È fuor di dubbio che si tratti di un imbroglio e di una frode culturale di von Dänicken con l’uso dei pezzi conservati nel museo di padre Crespi, perché nessuno dei referti proviene dalle caverne di Los Tayos. Infatti, i migliori speleologi del mondo, affiancati da archeologi molto qualificati, del calibro di Pedro Porras Garcés, Presley Norton, Hernan Crespo Toral, portarono al solo ritrovamento di una comune ceramica e di alcuni frammenti di maggior qualità. Niente a che vedere, in ogni caso, con “L’oro degli dei” di Dänicken.

Con la spedizione scientifica anglo-ecuadoriana richiamata, si confutarono tutte queste false affermazioni. Si fecero studi seri sulla natura del luogo e sulle caverne. La cosa meravigliosa fu quella di portare alla luce e apprezzare tutta quella variegata vita vegetale e animale, in così poco spazio, e si ratificò l’immensa biodiversità dell’Ecuador.

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Don Carlo viene scherzosamente incoronato con un reperto del suo Museo

Nel 1978, un articolista del Vistazo riferisce di aver letto, in questa opera di Von Dänicken, che l’autore scrive di un colloquio tra lui e padre Crespi e, all’apice dell’entusiasmo, di avere esclamato: “Francamente, serve una buona dose di autocontrollo per resistere alla vera e propria febbre causata dalla vista dei tesori conservati nel cortile interno di Maria Ausiliatrice!”. “Non fu soltanto il materiale a darmi alla testa: sulle centinaia di lamine di metallo risplendono immagini di stelle, lune, soli e serpenti che, quasi sicuramente, simboleggiano viaggi spaziali”. Non deve sorprendere questo tipo di ossessioni in von Dänicken. In altri reperti appartenenti alla collezione di padre Crespi, lo scrittore crede di vedere “mostruosi astronauti”, “cosmonauti sepolti nelle piramidi”, “innumerevoli serpenti che volano nel cielo lasciando scie di fuoco sopra teste di dei” e formula domande come questa: “Chi ha costruito per primo le piramidi, gli Inca o gli Egizi?”; “Si tratta di scritture (quelle che ho visto a Cuenca) più antiche di ogni altra forma di scrittura conosciuta?”. Nonostante le esagerazioni e le entusiastiche oscillazioni di von Dänicken tra realtà e fantasia, la raccolta di padre Crespi merita almeno uno studio approfondito condotto da esperti in materia, con il massimo rigore scientifico.3

Tornando alla realtà e con obiettività, possiamo sostenere che Carlo Crespi era a conoscenza del valore dei suoi reperti, che incrementava ogni giorno affinché la città di Cuenca avesse un museo dell’antico in grado di spaziare dall’archeologia all’arte e all’etnografia. Lo disse apertamente nel 1967 quando (durante i festeggiamenti per il suo 50° di Sacerdozio), chiese di prendere coscienza dei valori culturali che poco interessavano alle autorità e al pubblico in generale. Sottolineò il valore dell’archeologia e dell’arte ecuadoriana e sostenne la necessità di porre maggiormente l’attenzione su temi che, fino a quel momento, non erano stati sufficientemente affrontati.4

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Don Carlo con una delle lamine più grandi del suo Museo

Lo storico e uomo pubblico Tomas Vega Toral5 si interessò per invitare a Cuenca un esperto dell’U.N.E.S.C.O. o della O.E.A. [Organizzazione degli Stati Americani] per studiare il contenuto del museo di padre Crespi, al quale scrive da New York il 20 marzo 1965 informandolo degli sforzi che stava facendo in proposito. La corrispondenza s’infittì e, nel dicembre dello stesso anno, Tomàs Vega acclude alla sua missiva copia della lettera inviata all’ambasciatore Gustavo Larrea, i cui passaggi più importanti dicono: “Una ragione – quanto mai gradita – mi ha spinto a scriverti, ed è la seguente: Ho ricevuto da Cuenca una lettera dal padre salesiano Carlo Crespi, che tu conosci, nella quale mi comunica di aver recentemente arricchito il suo museo archeologico con pezzi d’incalcolabile valore scientifico, che attestano il trapianto coloniale di grandi civiltà mediterranee, mille anni prima di Cristo.
Il fatto è documentato da migliaia di oggetti in oro, rame, lastre iscritte in ceramica, lamine d’oro recanti geroglifici, corone auree e altri manufatti greci, cretesi, babilonesi, fenici, egizi, ecc. La notizia di questi reperti è uscita dai confini di Cuenca e, a detta di P. Crespi, ha attirato esperti da Miami, Philadelphia, New York e non pochi dal resto del Sud America, come pure dal Belgio, Germania, Italia e Francia.
Io avevo già scritto a padre Crespi sostenendo che si dovrebbe approfittare della tua presenza all’ambasciata di Washington e per vedere se sia possibile un tuo interessamento patriottico presso l’O.E.A. e gli istituti scientifici della capitale, al fine di distaccare [a Cuenca] due o tre esperti per studiare e classificare le migliaia di pezzi custoditi nel museo. Padre Crespi ha accettato con entusiasmo.
Questi reperti sono praticamente sepolti e passano quasi inosservati, come hai potuto constatare visitando il museo. Se la relazione degli esperti dovesse essere positiva, potremmo vedere se è possibile fargli avere un aiuto economico per costruire, se non un edificio, almeno  un altro edificio o, per lo meno un ampio salone, nella stessa Casa Salesiana, in cui possa sistemare, secondo un criterio di classificazione tecnico, le migliaia di preziosi oggetti archeologici.
Come amico e come cittadino di Cuenca, mi permetto di chiederti di ricorrere a tutto il tuo impegno e alle tue influenze, frutto dell’alto e meritato incarico ricoperto, per aiutare questo instancabile religioso che ha dedicato buona parte della sua vita per salvare dall’oblio e dalle speculazioni, spendendo oltre le sue possibilità, per acquistare reperti e formare un museo che, una volta conosciuto, diverrà l’orgoglio della città di Cuenca e richiamerà un’infinità di turisti e studiosi, essendo anche prova del progresso scientifico dell’Ecuador”.

In sintesi la risposta: “Trovo molto interessanti le informazioni e i commenti contenuti nella tua lettera riguardante il museo archeologico di padre Crespi. L’ho visitato diverse volte e ritengo che vi siano oggetti davvero preziosi che meritano di essere studiati e catalogati da esperti tecnicamente esperti. Ho parlato con alcuni dignitari dello Smithsonian Institute cercando di interessarli alla realizzazione di questo studio. La cosa è attualmente all’esame del Consiglio Direttivo. Continuerò ad insistere e spero di riuscirci. Se riuscissimo ad ottenere il distaccamento di uno o due specialisti, qualora trovassero pezzi di un certo valore archeologico, il secondo passo potrebbe essere la formale fondazione di un museo dipendente e, in parte finanziato, dallo Smithsonian. Ciò significherebbe molto per la cultura regionale, nazionale e sarebbe molto significativa per la città di Cuenca. Magari più avanti sarò in grado di fornirti maggiori informazioni al riguardo. Nel frattempo, tu potresti comunicare a padre Crespi il mio entusiasmo circa la collocazione del suo museo nella categoria che merita”.6

Non sappiamo che fine fecero questi progetti, ma, a quanto pare, non arrivò una commissione scientifica, né si conosce alcunché di eventuali fasi successive proposte. Quello che è certo è che nel 1978, i superiori di padre Crespi decidono di vendere il museo al Banco Centrale dell’Ecuador (B.C.E.), proprio in quegli anni, impegnato in una politica che prevede di destinare gli utili di esercizio all’acquisizione di patrimoni culturali appartenuti a privati o istituzioni. Infatti, era impensabile ritenere che un anziano di 87, consumato da tanto zelo nei confronti dei bambini e dei giovani, dell’istruzione e dell’amministrazione dei sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia, potesse farsi ulteriormente carico di un’enorme quantità di oggetti d’interesse archeologico e artistico.

  1. Dopo l’incontro con Padre Crespi, Stan Hall dichiarò ad un amico : “Se mai mi sono sentito alla presenza d’un Santo, è stato con Padre Crespi!” []
  2. L’astronauta che sbarcò sulla Luna []
  3. Vistazo, in italiano “lo Sguardo” – novembre 1978 – rivista quindicinale fondata il 4 giugno 1957 con sede in Guayaquil”. []
  4. Avendo preso parte alla cerimonia in onore di padre Crespi, l’autore di questa biografia ha avuto modo di ascoltare questi concetti dalla viva voce del protagonista. Oggi più che mai appaiono attuali, in quanto sussiste in Ecuador una maggiore consapevolezza del valore dei popoli che hanno dato luogo a significative culture nel corso dei millenni.
 []
  5. Lo storico Tomas Vega Toral costituisce parte del Centro di Studi Storici e Geografici del Azuay. Partecipa inoltre al dibattito riguardante l’ubicazione della città di Tomebamba e pubblica le sue principali ricerche sulla rivista del Centro. Fra le sue opere si ricordano: Nozze di brillanti sacerdotali di fra Alfonso Maria Jerves, Scoperta e primo viaggio sul Rio delle Amazzoni, Omaggio alla memoria del Rev. Dottor Giulio Maria Matovelle, Le lapidi di Tacqui e Tomebamba degli Inca. []
  6. La corrispondenza è conservata presso l’Archivio Storico dell’Ispettorato Salesiano di Quito []

Don Carlo e il suo Museo (da “Siervo de Dios P. Carlos Crespi Croci …”) – Parte prima

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Don Carlo con alcuni reperti del suo Museo

Don Carlo e il suo Museo

Secondo alcuni testimoni, don Carlo cominciò a organizzare un museo archeologico a partire dal 1931, secondo altri, dal 1935. Apparentemente, iniziò da   pochi pezzi rinvenuti nel corso degli scavi delle fondamenta dell’Istituto Cornelio Merchán; ciò lo spronò nella raccolta, probabilmente ricordando  che a Torino esisteva un grandissimo Museo Egizio. Fin dai suoi primi viaggi in Ecuador, come egli stesso ricorda, aveva visto e raccolto alcuni reperti, già  quando preparava la partecipazione dell’Ecuador nelle Esposizioni di Roma e Torino.

In quegli anni,  si erano realizzati in Ecuador pochi scavi scientifici. Quello che a Cuenca  si ricordava maggiormente, era stato eseguito da Max Uhle  a  Pumapungo, nel settore orientale della città, dove lavorò intensamente tra il 1921 e il 1922, avendo pubblicato nel 1923 la sua relazione, intitolata Tomebamba, accompagnata da un eccellente studio introduttivo di Remigio Crespo Toral.

Una delle principali preoccupazioni del già citato Centro di Studi Storici e Geografici di Cuenca, fu di arrivare a precisare dove si trovava la città incaica di Tomebamba, come alcuni  credevano e cercavano di provare che si identificasse con Yunguilla e con altre zone che gli spagnoli scelsero per la fondazione di Cuenca. Il lavoro di Uhle chiarisce il mistero e mise in chiaro che la città dove nacque il grande re Inca Huayna Capac, sorgeva nel medesimo luogo in cui fu fondata Cuenca nel 1557 e che il suo settore amministrativo aveva sede in Pumapungo.1

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Don Carlo con un pregiato reperto ligneo

La collezione di padre Crespi aumenta rapidamente con i pezzi trovati da agricoltori o huaqueros dell’Azuay2, del Cañar e dell’Amazzonia ecuadoriana. Poco o nessun interesse ufficiale si ha di raccogliere l’eredità indigena,  perché chiunque trovava manufatti di pietra o ceramica, andava direttamente da quegli stranieri che mostravano interesse per questi oggetti rimasti sepolti per centinaia d’anni. Padre Crespi sogna invece un grande museo per Cuenca. Perché no, come quello che aveva visitato in Italia. E così lo arricchì attraverso acquisti e donazioni provenienti da diverse parti del paese. Con il passare del tempo, acquistò un’infinità di manufatti intagliati in pietre biancastre, di scarsa durezza e di epoca recente, oltre a lamine di latta e di ottone di colore dorato, recanti strani disegni, frutto della fantasia o simili a quelli descritti nei libri di archeologia egizia, del vicino o dell’Estremo Oriente asiatico.

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Don Carlo con reperti di pietra incisa

La collezione cresceva a dismisura, mentre il numero degli spazi adibiti non seguiva in proporzione ai suoi acquisti, così che i reperti venivano ammassati senza un ordine cronologico o tematico, conferendo ai locali l’aspetto di un accumulo di oggetti più che di un vero e proprio museo. Chi scrive, in qualità di professore della Facoltà di Filosofia dell’Università di Cuenca, visitava annualmente la Mostra  per completare le lezioni teoriche dei corsi sulla storia dell’Ecuador precolombiano. Quando ebbi l’occasione di dire a padre Crespi che tutti quei manufatti sembravano repliche, la sua risposta mi lasciò senza parole: “Sì, lo so, ma in questo modo dò lavoro ai poveri”.3 Ciò vuol dire che inizialmente era in grado di distinguere il reperto autentico dal falso, mentre con il passare del tempo, in età avanzata, finì per considerare tutti i pezzi del suo museo autentici. In una delle mie visite gli feci notare che non c’era più quel bel e autentico “quero”4 di epoca incaica. Scuotendo il capo, rispose con velo di tristezza sul viso che forse era stato sottratto da qualcuno che si era introdotto con la scusa di vedere il Museo.

L’Ecuador è un paese con molte culture indigene. Alcune risalgono a circa quindicimila anni e corrispondono all’iniziale stanziamento, altre si collocano tra le culture formative nel periodo compreso tra il 4000 e il 500 a.C. Quelle successive, invece, si conoscono come  attinenti agli sviluppi regionali che partono dal 500 a. C. fino al V secolo d.C.. Da ultimo, vi sono quelle che da questa data arrivano fino al XV e XVI secolo della nostra era. L’ultimo stadio dell’archeologia ecuadoriana ha inizio intorno al 1450, con la conquista e la dominazione degli inca, provenienti dal Perù e dall’Alto Perù e che prolungarono la loro cultura fino all’anno della suo venir meno, nel 1532, con il trionfo dello spagnolo Francisco Pizarro sull’ultimo sovrano Atahualpa.

Sala museo
Una sala del Museo di Don Carlo

I reperti archeologici raccolti da padre Crespi risalgono ad alcuni di questi periodi; tuttavia, non li riunisce secondo un criterio di classificazione e di sistematicità, in quanto acquisiva ciò che gli veniva offerto. Probabilmente, pensava di ordinarli e studiarli successivamente, ma la sua attività di educatore e per il suo ministero pastorale non riuscì a realizzare questa sua intenzione iniziale. A poco a poco gli vendettero dei reperti dicendogli che provenivano da altre località del continente americano e del Vecchio Mondo, tanto da fargli ritenere, in età avanzata, di aver costituito uno splendido museo, importante forse come quello egizio di Torino o come gli altri visitati in Italia. A tal proposito, non bisogna dimenticare che egli trascorse un terzo della sua vita, ossia il periodo di massimo apprendimento, coincidente con l’infanzia e l’età giovanile, proprio in Italia. Non va dimenticato che era laureato in scienze naturali, diplomato al conservatorio e, come egli stesso ha confessato ad un compagno di studi, con un particolare interesse per i musei.

Nel processo di creazione del museo e di acquisizione dei reperti autentici, questi diventano sempre più rari e l’attenzione di padre Crespi si sposta sulle riproduzioni: in particolare, lastre di pietra con geroglifici, vasi greci, bassorilievi raffiguranti buoi sacri, piramidi egizie, sculture ellenistiche e amerinde che rappresentano cavalli e serpenti, oltre ad armi, placche, scettri, maschere e altri oggetti dorati. Frequenti sono i richiami a Babilonia, all’antico Egitto e, fra gli altri, al popolo etrusco, cretese e ittita. Agli uni e agli altri faceva riferimento per parlare di queste culture che si espansero e arrivarono sino al continente americano, attraversando l’Africa e giungendo alla foce del Rio delle Amazzoni, per poi risalirlo sino alle sorgenti ed entrare nella nostra provincia attraverso il fiume Paute.

Chiaramente circa il popolamento dell’America e dell’Ecuador vi sono in concreto molte ipotesi; a tutt’oggi non è stata fatta sufficiente luce sull’antichità e la provenienza dei popoli che entrarono in contatto con gli europei a partire dal 1492. Alcune teorie sembrano coincidere con le idee di padre Crespi, come ad esempio quella di una presunta corrente migratoria dalle caratteristiche egizie, che si possono apprezzare nelle sculture femminili della cultura Valdivia.

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Don Carlo con Gabriele d’Annunzio Baraldi

Il 5 febbraio 1968, padre Angel Botta, provinciale di Cuenca e delle missioni, chiese a padre Antonio Nardon, provinciale dei Padri Giuseppini, di inviare  uno dei suoi collaboratori, l’archeologo e sacerdote Pedro Porras Garcés5, con l’intento di determinare l’effettivo valore della collezione di padre Crespi. Il 17 dello stesso mese, l’incaricato stilò un rapporto, articolato in diversi punti, del quale riportiamo fedelmente il 2°: “Le stele di pietra o tavolette recanti iscrizioni, nella loro globalità, non sembrano volgari falsificazioni”. Il 4° recita: “Va notato che la percentuale di oggetti autentici, una volta separata dalle falsificazioni, con l’indicazione della sua provenienza… può costituire un museo estremamente interessante, considerata la rarità e la qualità di taluni esemplari”. 

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Juan Moricz
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Erich von Dänicken

Nel 1969, quando P. Crespi compì 78 anni, venne visitato da un strano personaggio di origine ungherese, Juan Moricz, che ebbe modo di vedere le sue lamine metalliche e di ascoltare alcune sue teorie, e cioè che i disegni non sarebbero altro che segni geroglifici arcaici, appartenenti ad una lingua antidiluviana madre di tutte le lingue, a riprova dei contatti tra gli abitanti del continente americano e quelli del Medio ed Estremo Oriente. Queste idee furono condivise dal peruviano Daniel Ruso e dall’italiano Gabriele D’Annunzio Baraldi6 che a Cuenca incontrò Moricz. Anche Erich von Dänicken visitò il museo; lo scrittore svizzero scattò alcune fotografie che saranno incluse in un libro a larga diffusione, intitolato “L’oro degli dei” e tradotto in diverse lingue.

Il museo riceve la sua denominazione dal fondatore e, per estensione, dai padri salesiani, ossia dalla comunità religiosa di appartenenza. Si tratta infatti di un’iniziativa esclusiva di padre Crespi, priva di alcun coinvolgimento o sostegno ufficiale da parte delle istituzioni. La raccolta ottiene notevole risonanza sia all’interno che all’esterno del paese. Soprattutto presso gli stranieri, i quali, seppure con pregiudizi, chiaramente con finalità speculative od economiche, ne documentano l’importanza. L’eco giunge sino in Europa e ancora oggi (nel 2012) vi sono persone che arrivano nella città di Cuenca chiedendo di visitare il fantastico museo di padre Crespi.7

Nel 1978, per una serie di furti, si rese necessario cedere quelle raccolte al Banco Central del Ecuador, che si rese disponibile ad acquistarle, inventariarle, riorganizzarle con le migliori garanzie,  e padre Crespi fu d’accordo.

Una Commissione di specialisti in arte e archeologia antica e moderna passò al vaglio a uno a uno i reperti e catalogò i pezzi autentici, si ebbero i seguenti risultati:

  • Collezione archeologica: composta da 5000 oggetti di alto valore storico-artistico.
  • Collezione pittorica: composta da 1187 opere catalogate, suddivise in tele, legni, vetri, rame, marmi, pietre e cromature.
  • Collezione scultorica:composta da 132 oggetti di valore e vari frammenti.
  • Collezione etnografica: costituita da un insieme di ceramiche coloniali: 50 giare e 216 pezzi tra anfore, vasi ornamentali, ampolle, ecc.

La somma raccolta ($ 10.000) venne investita nella “Scuola Carlo Crespi”, rinata dalle rovine della antica fondazione Merchàn.

CONTINUA PARTE SECONDA >>

  1. Oggi, dopo un eccellente lavoro di riscoperta delle rovine di Tomebamba, si possono ammirare fondamenta, blocchi basamentali, terrazze e altri resti archeologici, nonché un museo diretto dal Ministero della Cultura dell’Ecuador che conserva gran parte dei pezzi appartenuti al museo archeologico di padre Crespi. []
  2. Pur essendo sprovvisti di una formazione scientifica, gli huaqueros sono dotati di conoscenze pratiche che utilizzano per effettuare scavi allo scopo di commercializzare i reperti archeologici. []
  3. Questa esperienza personale, come testimone oculare,  non è la sola, vi sono altri che udirono dalle sue labbra la stessa affermazione. []
  4. Vaso ligneo []
  5. Padre Pedro Porras Garcés, considerato un eminente archeologo, è autore di numerose opere. Il succitato documento si trova presso l’Archivio Storico dell’Ispettorato Salesiano di Quito. []
  6. Nato a San Prospero (provincia di Modena) ancora giovane emigra con la famiglia in Argentina, dove si laurea in Lettere e Filosofia all’università di Buenos Aires, prima di trasferirsi a San Paolo del Brasile dove vivrà fino alla morte avvenuta nel 2002. D’annunzio Baraldi fu un ricercatore indipendente, un esploratore, archeologo e un avido studioso di lingue antiche. Si interessò ai misteri non risolti dall’archeologia ufficiale. Si occupò, con particolare riguardo, dello studio di testimonianze di antiche civilizzazioni esistite in Brasile in epoche presumibilmente anche antidiluviane, come la Pietra di Ingà, scoperta nello stato brasiliano di Paraíba. Si tratta di uno dei monumenti archeologici più straordinari del mondo (consistendo in una serie di incisioni rupestri su una superficie lunga 24 metri) che secondo D’Annunzio Baraldi testimonierebbe la presenza d’una colonia ittita in america latina. []
  7. L’autore di questa biografia è in grado di fornire la propria testimonianza al riguardo, in quanto in più di un’occasione ha avuto modo di intrattenersi con turisti europei in visita al Museo delle Culture Indigene di Cuenca, da lui diretto. []