Siamo giunti al quinto e ultimo degli appuntamenti dedicati alla biografia di Padre Carlo Crespi e l’aspetto di lui che tratteremo è forse il più affascinante: certamente è quello che lo avvicina maggiormente alla santità, insieme al richiamo fortissimo che il suo cuore ha sempre avvertito verso i poveri, i deboli, i piccoli e gli emarginati. Ecco, Padre Carlos è stato davvero l’angelo degli “ultimi”: nato a Legnano da una famiglia benestante e dotato di una cultura davvero smisurata, oltre che di un’intelligenza sopraffina, ha scelto di diventare povero tra i poveri. Vecchio, mal nutrito, trascurato nella persona e malato, il missionario legnanese ha sempre anteposto i bisogni altrui ai propri: e anche quando i problemi fisici (allo stomaco, ai polmoni e, da ultimo, anche alla prostata), gli tolgono tutte le forze fisiche, il richiamo del confessionale e il bisogno di essere ancora servo della sua gente gli infondono l’energia per ascoltare i bisogni di tutti, gli sfoghi di tutti e di assolvere e benedire i peccatori pentiti, nel nome di quel Dio che è amore incondizionato. Divulga con tutte le forze la devozione a Maria Ausiliatrice, consumando la propria vita nell’omonimo Santuario.
“Apostolo e martire del confessionale”: gli abitanti di Cuenca e delle città vicine lo ricorderanno così, all’indomani della sua morte (30 aprile 1982), accorrendo sconvolti al suo capezzale e contendendosi i piccoli pezzi di legno volutamente asportati dal confessionale, quasi fossero pezzi del suo corpo, da custodire come ricordo o forse come prova che Padre Carlos non se n’è andato davvero. La gente di Cuenca aveva già temuto di perderlo qualche anno prima, quando il tifo manda Padre Crespi in fin di vita. La notizia fa rapidamente il giro della città e in poche ore, sotto la finestra della sua camera da letto, si raduna una folla sterminata: tutti pregano in ginocchio per l’intera notte sino a quando, verso mattina, la finestra si apre e Padre Crespi si affaccia, salutando e benedicendo tutti. <<Sì, ho davvero creduto di morire- racconterà, tempo dopo, ad un giornalista, ricordando quel terribile momento- ma quando la situazione era sul punto di precipitare, ho percepito una luce accanto al mio letto e una voce che mi ha detto: “Puer centum annorum. Longa tibi restat via”(“Fanciullo di cento anni. Per te la strada è ancora lunga”). Mi sono sentito bene e mi sono alzato”.
Per il missionario legnanese essere sacerdote significa, anzitutto, amministrare i sacramenti: la Confessione (Penitenza) e l’Eucaristia, in particolare. E per questi ultimi abbandona ogni suo altro interesse (la musica, il teatro, il museo, le scienze naturali): le sue giornate, che iniziano ben prima dell’alba, sono interamente dedicate all’ascolto dei poveri e dei peccatori, per farsi tramite con gli stessi dell’amore di Dio che sempre comprende, sempre consola, sempre sostiene e perdona.
Ma non è solo in occasione della sua morte che padre Carlos viene venerato come fosse già santo: anche nel 1967, in occasione dei suoi 50 anni di sacerdozio, tutta Cuenca si mobilita per festeggiarlo e i giornali gli dedicano intere pagine, nella consapevolezza di trovarsi di fronte ad un personaggio di portata mondiale, che ha fatto dell’umiltà la propria bandiera.
Diciott’anni dopo la sua morte Padre Carlos viene insignito del titolo di “Cuencano più illustre nel XX secolo” e gli viene conferito il dottorato “Honoris causa” dall’Università Politecnica Salesiana. Il 19 aprile 2002 si costituisce un comitato per la sua beatificazione.
Il 24 marzo 2006 monsignor Vicente Cisneros Durán, arcivescovo di Cuenca, a seguito del parere favorevole della Conferenza Episcopale Ecuadoriana, comunica l’accettazione della richiesta formale d’inizio della causa.
Prende il via un lungo, complesso e delicato iter, che non si è ancora concluso e che, dal gennaio 2015 (con la nascita dell’associazione Padre Carlo Crespi), vede anche la città di Legnano impegnata per il grande obiettivo che è, appunto, quello di vedere questo suo figlio illustre proclamato santo.
Cristina Masetti