Durante la seconda Guerra Mondiale le comunicazioni con l’Europa furono estremamente scarse. Per questo si comprende l’atteggiamento di P. Crespi che, al termine della tremenda guerra, scrive al Rettore Maggiore con immensa gioia perché la Congregazione, in questi momenti difficili e in questi anni, si è mantenuta nel solco di una piena “salesianità “. Ecco come la manifesta nella sua prima lettera dopo la guerra: “Finalmente è arrivato il Bollettino Salesiano e la comunicazione che si può riprendere a scrivere ai Superiori. Dopo così tanti anni di silenzio e di preoccupazione è per me un vero piacere esprimerle le mie complimenti per la perfezione con cui ha diretto la gran macchina salesiana in mezzo a così tanti pericoli: Ogni giorno benedico il Signore che ci ha dato un Rettore Maggiore e Superiori del Capitolo dotati di carismi sia spirituali che tecnici, a gloria della Congregazione. Soprattutto, mi è piaciuto il vastissimo programma di carità che ha fatto rivivere nei salesiani il grande Don Bosco dei primi decenni dell’opera salesiana. Siano resa grazie a Dio” (Cuenca, lettera del 12/12/1946 a don Ricaldone, pag. 1).
Lo stesso P. Crespi riassume le sue attività più importanti di questi anni, dopo il 1936. Lasciamo la parola a lui: “Dopo la mia ultima visita a Torino, ho dedicato tutta l’attività ad organizzare la Scuola di Arti e Mestiere, la seconda parte del 1938 a realizzare il gran Congresso Eucaristico; il 1939 nel costruire il Noviziato (la Normale Orientalista); il 40 e il 41 nella fondazione ed equiparazione della Normale per i nostri chierici e nella Direzione dello Studentato Filosofico; nel 42 e 43 si ampliò e triplicò l’antica casa di Monsignor Costamagna; nel 44 si è fatta la nuova sede dell’Aspirantato Salesiano; nel 1945, d’accordo con don Bertola, la nuova sede dell’Aspirantato dei Coadiutori Artigiani; in questo anno (1946) si stanno collocando le nuove macchine della tipografia cattolica, (linotipo, offset per la grande tiratura e Nebiolo Super Aligera). Nel Santuario di Maria Ausiliatrice abbiamo superato un milione di comunioni in questi anni successivi al Congresso Eucaristico. L’Oratorio Festivo è oggetto delle mie speciali e personali cure e altrettanto la Scuola Popolare Gratuita che quest’anno ha raggiunto 1324 alunni” (Cuenca, lettera del 12/12/1946 a don Ricaldone, pag. 1-3).
Altro problema è la cosiddetta “pinacoteca”, che comprende dipinti di reale valore artistico, che si utilizzavano nella Mostra Catechistica, e nella quale P. Crespi afferma che vi sia “la presenza di vere opere artistiche degli antichi spagnoli, della scuola flamenca, ma anche di quella veneta e romana” (stessa lettera, pag. 3). Per continuare a mantenere i 1324 alunni poveri della Scuola, P. Crespi, in accordo con Superiori, ipotizza di vendere questi quadri. Egli non pensa a se stesso, ma su come aiutare i più svantaggiati, tenendo conto del parere dei superiori religiosi.
Al termine degli anni 40 P.Crespi, fermo restando il vincolo con i Superiori di Torino per le opere artistiche e per quelle etnografiche dei popoli autoctoni, continua ad affermare che è necessario inviarle per la Mostra dell’Arte Vaticana (cfr. Lettera 3/08/1947 a don Bellido, pag. 3, da Cuenca). Davanti al problema della proprietà di queste opere d’arte, delle quali il Governo Ecuadoriano voleva avere la proprietà come patrimonio culturale, si arrivò a concludere dopo aver consultato Don Ricaldone, in accordo con l’Ispettore don Corso. Così ne parla p. Crespi: ” I quadri di valore si ritirino lentamente e si studi la forma legale di passare la proprietà ai Beni Artistici, secondo le disposizioni del Governo. Il materiale di supporto alla Storia Sacra, al catechismo e alla teologia, vengano esposti nei grandi saloni catechistici e nelle nostre chiese o cappelle. Dopo l’arrivo del nuovo Ispettore, Padre Giacomini, il problema venne discusso in pieno Capitolo Provinciale, riconfermando le direttive di don Corso e cercando di arrivare ad una soluzione che riflettesse le direttive dei Superiori” (Cuenca, lettera del 24/11/1948 a don Berrutti, pag 1,2).
Altra questione è costituita dalla gestione del danaro che P. Crespi amministrava e che suscitava interrogativi nei superiori, perché don Carlo gestiva molte risorse economiche e, in parte, le indirizzava, a sua discrezione, verso le esigenze più urgenti. Non aveva segreti, non faceva appropriazione indebita di fondi, ma rendeva conto delle uscite globali. Ancora dopo molti anni, in ordine alla amministrazione dei beni, P. Crespi scrive: “Io conservo il dettaglio di tutta la contabilità, dalla prima conferenza che tenni nel 1923 nel Seminario Maggiore di Milano, alla presenza del Cardinale e di tutti i Vescovi della Lombardia, riuniti in sessione straordinaria, fino a questi ultimi giorni. Il mio periodo di propaganda consiste in due periodi: dal 1923 al 1937, nel quale tutte le opere erano autorizzate da Monsignor Comin e dall’Ispettore; dall’agosto del 1937 al 1948, periodo in cui mi dedicai alle vocazioni missionarie in assoluta dipendenza dell’Ispettore” (Cuenca, lettera a don Berruti, pag. 5-6).
Infatti, P. Crespi, manteneva il flusso degli aiuti economici per le vocazioni missionarie, soprattutto con l’America del Nord. Scriveva: “Ogni giorno dedico qualche ora ai miei benefattori degli Stati Uniti e del Canada, mandando articoli per i periodici e curando la corrispondenza” (Cuenca, lettera del 12/12/1946 a don Ricaldone, pag. 4). Ma comunque, P. Crespi era considerato dai Superiori di Torino come un salesiano a cui si poteva ricorrere nelle difficoltà economiche, quando né l’Ispettore, né il Vicario Apostolico intervenivano. Così scrive don Renato Ziggiotti1 a P. Crespi che, per altro, era stato suo compagno di studi: “Caro don Carlo, adesso pensaci tu a mantenerli (i teologi ecuadoriani che studiavano in Italia) perché penso che tanto l’Ispettore, quanto Monsignore abbiano altro a cui pensare e non sappiano come fare. Sarebbe molto imbarazzante che il Capitolo (Superiore) debba intervenire, dopo il sostegno già fornito” (Torino Lettera del 25/10/1937 di don Ziggiotti, pag. 2).
Altra questione, la liberà evangelica del P. Crespi rispetto ai beni economici era proverbiale, perché dal suo aspetto fisico si scopriva un uomo caratterizzato da una grande povertà. Davanti davanti a commenti improvvisati, lo stesso don Carlo scrive: “In 25 anni di Missione non ho mai venduto un perno:i films missionari, i cappelli di Panama, i francobolli, gli uccelli , ecc., tutto, tutto ho regalo ai miei benefattori e sono molto contento che che con i quadri si eviti la speculazione. In ogni modo con l’Ispettore vedremo che cosa fare per prevenire sorprese” (Cuenca, lettera del 18/11/1947 a don Ricaldone, pag. 6).
Alla fine degli anni quaranta, le lettere di P. Crespi ai Superiori di Torino si riferiscono principalmente alle attività catechistiche, alla cura sacramentale nel Santuario di Maria Ausilatrice, alla stampa di materiale religioso e testi scolastici, sebbene vi siano riferimenti ai lavori della Scuola di Agraria e alla raccolta di materiale missionario che è riuscito a mettere assieme. Si incontra anche una dettagliata descrizione della religiosità popolare relativa al Natale, conosciuta come “Pase del Niño”, che ha molti seguaci (cfr. lettera del 15/02/1949 a don Ricaldone, da Cuenca).
Le attività assistenziali continuano nella città di Cuenca in cui vivono molte famiglie povere. Così lo spiega don Carlo: “Don Bosco dà a tutti: professori, impiegati, a chi è in tipografia, vestiti ai più poveri e una tazza di cioccolata e pane al giorno a 250 ragazzi poverissimi; si preferiscono quelli che ricevono l’Eucaristia2” (Cuenca, lettera del 15/08/1950, pag. 1).
Le lettere di P. Crespi ai Superiori Maggiori, almeno quelle che furono fotocopiate, arrivano praticamente fino al 1950. In questo periodo P. Crespi, a 59 anni di età, stava organizzando in Cuenca la Scuola “Cornelio Merchàn”, l’Oratorio festivo, i Musei missionari e il Santuario di Maria Ausilatrice. Queste attività assorbirono il suo impegno lavorativo per molti anni fino al tramonto della sua vita. L’unica lettera posteriore a questo periodo P. Crespi la scrive al Rettore Maggiore di allora, P. Renato Ziggiotti, a pochi giorni dal grande incendio che distrusse l’edificio della sua grande opera: la scuola popolare gratuita. Secondo questa lettera P. Crespi attribuisce l’incendio ad un attentato con bombe incendiarie, finanziato da un centro rivoluzionario. A quanto pare, non è una ipotesi che venne seriamente confermata. Piuttosto si parlò di un possibile disattenzione dell’organista del Santuario che dormiva nell’ultimo piano dell’edificio e che avesse lasciato qualche candela accesa. Tuttavia non se ne ha una certezza scientifica. Ma comunque, si salvarono dall’incendio sia il Santuario che i diversi musei del p. Crespi. Restò seriamente compromessa la struttura della Scuola popolare “Cornelio Merchan”, che conteneva le aule, il teatro e la cappella.
Ad ogni modo, è ammirabile l’ottimismo e la serenità evangelica del P. Crespi davanti a questa grande disgrazia che così ne scrive, qualche mese dopo l’incendio, al Rettore Maggiore: “L’informo che l’unico esaltato nel momento dell’incendio, e soprattutto dopo, è stato P. Crespi, colui che chiamano il Padre Bambino, che sempre sorride a tutti e che per tutti ha una parola di bontà, e pur essendo povero, non gli manca mai un soldino” (Cuenca, lettera del 9/10/1962, a don Ziggiotti, pag 2).
D’altra parte, a quanto pare, don Ziggiotti invitò P. Crespi, suo compagno di studi e di apostolato in Valsalice e al Collegio Manfredini, ad andare in Italia. Ma egli gli rispose con tutta serenità: “I desideri dei Superiori sono ordini, tuttavia, parlando con il buon Padre Ispettore, e viste le difficoltà locali per organizzare un’altra volta, in un miserabile prato, una scuola con 1500 alunni, con un’infinità di aule, e soprattuto con un cuore grande per i poveri ragazzi e professori qualificati non facilmente sostituibili, e perché in Italia la stagione invernale è poco favorevole per la cura dei reumatismi e del catarro bronchiale, d’accordo con il Padre Ispettore, le scrivo pregandola che per questi mesi mi lasci tranquillo sulla breccia” (medesima lettera pag. 2). Si noti come don Carlo desideri rimanere a Cuenca, dove ha dedicato molti anni della sua feconda vita apostolica. In forma ottimistica si congeda dal Rettore Maggiore nella lettera richiamata: “La ma salute è come sempre. L’incendio mi ha dato molta più forza per riparare i danni, tocco con mano l’intervento miracoloso di Maria Ausiliatrice che ha salvato il Santuario, i musei, le attrezzature, la struttura del collegio, e in una settimana mi ha fatto avere i milioni necessari per riparare i danni “. (medesima lettera, pag. 10)