Il Museo: Realtà o Fantasia? Crediamo che sia necessario approfondire maggiormente il tema del museo, perché, come abbiamo già visto, la sua fama internazionale la favorirono due europei: Chiariamo, allora, perché e in che modo questi due personaggi incrociarono la strada di P. Crespi.
Erano arrivate delle spedizioni scientifiche per compiere degli studi, la più importante delle quali era stata organizzata dal Governo inglese, con la collaborazione del Governo ecuadoriano, chiamata “Spedizione scientifica a la cueva de los Tayos”, che iniziò i lavori sul campo nel 1976 e alla quale parteciparono Stan Hall1 e Neil Armstrong2. Chi scrive queste note biografiche ha avuto la fortuna di essere scelto a rappresentare l’Università di Cuenca, ad integrare il gruppo degli scienziati ecuadoriani e a completare il tutto con una relazione ((Cordero Iñiguez, Juan, La expedición scientifica a la cueva de los Tayos, Centro di Documentazione della Facoltà di Filosofia, Lettere e Scienze dell’Educazione dell’Università, Cuenca, 1976.)) della quale citerò alcuni paragrafi.
Due parole sui due europei. Juan Moricz, cittadino ungherese, residente per lungo tempo in Argentina, viaggiò per l’Ecuador fino al 1965, anno in cui arrivò a “scoprire” le grotte di Los Tayos dandone notizia, successivamente, realizzando una scrittura pubblica in uno studio notarile di Guayaquil, dalla quale risulta la sua qualità di scopritore e alcune informazioni riguardanti gli oggetti rinvenuti all’interno della caverna, nonché il suo desiderio di diventarne proprietario. Moricz visitò il museo di padre Crespi, il quale lo rese partecipe delle sue teorie e, inoltre, gli raccontò, secondo quanto riferitogli dai venditori, che molte delle lastre di pietra e di metallo provenissero dalle grotte di Los Tayos.
Nel 1972, Moricz e von Dänicken si incontrarono e si accordarono di realizzare una spedizione archeologica nella grotta di Los Tayos. Secondo le loro fantasiose e false dichiarazioni, il primo capitolo del libro di Dänicken, intitolato “Aussaat und Kosmos” è il frutto di queste osservazioni.
Tuttavia, è indubbio che il lavoro proposto con ambizioni scientifiche abbia suscitato un grande impatto, dal momento che le informazioni ivi contenute sono del tutto fantasiose e impressionanti e le notizie riportate, qualora prese sul serio, porterebbero a concludere che si tratti di una delle più significative scoperte archeologiche di tutti i tempi. In questa opera, letta da milioni di persone, Dänicken, in sintesi, afferma che, dopo un viaggio denso di pericoli attraverso la zona sudorientale della provincia di Morona-Santiago, arrivò in prossimità di un gruppo di grotte dove, secondo la sua opinione, visse l’esperienza “più incredibile” e “inverosimile del secolo”.
Scoprirono tavoli e sedie realizzati in un materiale sconosciuto, e subito dopo uno “stravagante giardino zoologico”: sauri, elefanti, leoni, coccodrilli, giaguari, cammelli, orsi, scimmie, bisonti, lupi, lucertole, chiocciole, granchi, ecc. Dall’altro lato, osservarono il “tesoro dei tesori”: la biblioteca metallica che descrive in questo modo: vi sono lamine, aventi spessore millimetrico e dimensioni pari a cm 96 x cm 48, ognuna delle quali reca una sorta di scrittura. L’incisione è regolare, come se fosse stata prodotta da una macchina.
Poiché Moricz si oppose a che venissero fatte fotografie, per timore che accadesse qualcosa di tragico: l’improvvisa chiusura della via di risalita, lo scatenarsi di un raggio laser o qualunque altra diavoleria ai danni degli audaci violatori di questo recinto sacro, ottenne il permesso di fotografare le lamine custodite nel museo Crespi di Cuenca e su di esse stila una relazione. Von Dänicken, è convinto che il tutto sia opera di esseri provenienti da altri pianeti e rilascia spiegazioni di queste strane incisioni di animali, piramidi, velivoli o esseri umani mostruosi.
Tutte queste sono fantasie create deliberatamente con l’intento di vendere l’opera, senza rispettare il buon nome di padre Crespi e approfittando della buona fede dell’anziano sacerdote, per conseguire una cospicua fortuna personale. È fuor di dubbio che si tratti di un imbroglio e di una frode culturale di von Dänicken con l’uso dei pezzi conservati nel museo di padre Crespi, perché nessuno dei referti proviene dalle caverne di Los Tayos. Infatti, i migliori speleologi del mondo, affiancati da archeologi molto qualificati, del calibro di Pedro Porras Garcés, Presley Norton, Hernan Crespo Toral, portarono al solo ritrovamento di una comune ceramica e di alcuni frammenti di maggior qualità. Niente a che vedere, in ogni caso, con “L’oro degli dei” di Dänicken.
Con la spedizione scientifica anglo-ecuadoriana richiamata, si confutarono tutte queste false affermazioni. Si fecero studi seri sulla natura del luogo e sulle caverne. La cosa meravigliosa fu quella di portare alla luce e apprezzare tutta quella variegata vita vegetale e animale, in così poco spazio, e si ratificò l’immensa biodiversità dell’Ecuador.
Nel 1978, un articolista del Vistazo riferisce di aver letto, in questa opera di Von Dänicken, che l’autore scrive di un colloquio tra lui e padre Crespi e, all’apice dell’entusiasmo, di avere esclamato: “Francamente, serve una buona dose di autocontrollo per resistere alla vera e propria febbre causata dalla vista dei tesori conservati nel cortile interno di Maria Ausiliatrice!”. “Non fu soltanto il materiale a darmi alla testa: sulle centinaia di lamine di metallo risplendono immagini di stelle, lune, soli e serpenti che, quasi sicuramente, simboleggiano viaggi spaziali”. Non deve sorprendere questo tipo di ossessioni in von Dänicken. In altri reperti appartenenti alla collezione di padre Crespi, lo scrittore crede di vedere “mostruosi astronauti”, “cosmonauti sepolti nelle piramidi”, “innumerevoli serpenti che volano nel cielo lasciando scie di fuoco sopra teste di dei” e formula domande come questa: “Chi ha costruito per primo le piramidi, gli Inca o gli Egizi?”; “Si tratta di scritture (quelle che ho visto a Cuenca) più antiche di ogni altra forma di scrittura conosciuta?”. Nonostante le esagerazioni e le entusiastiche oscillazioni di von Dänicken tra realtà e fantasia, la raccolta di padre Crespi merita almeno uno studio approfondito condotto da esperti in materia, con il massimo rigore scientifico.3
Tornando alla realtà e con obiettività, possiamo sostenere che Carlo Crespi era a conoscenza del valore dei suoi reperti, che incrementava ogni giorno affinché la città di Cuenca avesse un museo dell’antico in grado di spaziare dall’archeologia all’arte e all’etnografia. Lo disse apertamente nel 1967 quando (durante i festeggiamenti per il suo 50° di Sacerdozio), chiese di prendere coscienza dei valori culturali che poco interessavano alle autorità e al pubblico in generale. Sottolineò il valore dell’archeologia e dell’arte ecuadoriana e sostenne la necessità di porre maggiormente l’attenzione su temi che, fino a quel momento, non erano stati sufficientemente affrontati.4
Lo storico e uomo pubblico Tomas Vega Toral5 si interessò per invitare a Cuenca un esperto dell’U.N.E.S.C.O. o della O.E.A. [Organizzazione degli Stati Americani] per studiare il contenuto del museo di padre Crespi, al quale scrive da New York il 20 marzo 1965 informandolo degli sforzi che stava facendo in proposito. La corrispondenza s’infittì e, nel dicembre dello stesso anno, Tomàs Vega acclude alla sua missiva copia della lettera inviata all’ambasciatore Gustavo Larrea, i cui passaggi più importanti dicono: “Una ragione – quanto mai gradita – mi ha spinto a scriverti, ed è la seguente: Ho ricevuto da Cuenca una lettera dal padre salesiano Carlo Crespi, che tu conosci, nella quale mi comunica di aver recentemente arricchito il suo museo archeologico con pezzi d’incalcolabile valore scientifico, che attestano il trapianto coloniale di grandi civiltà mediterranee, mille anni prima di Cristo.
Il fatto è documentato da migliaia di oggetti in oro, rame, lastre iscritte in ceramica, lamine d’oro recanti geroglifici, corone auree e altri manufatti greci, cretesi, babilonesi, fenici, egizi, ecc. La notizia di questi reperti è uscita dai confini di Cuenca e, a detta di P. Crespi, ha attirato esperti da Miami, Philadelphia, New York e non pochi dal resto del Sud America, come pure dal Belgio, Germania, Italia e Francia.
Io avevo già scritto a padre Crespi sostenendo che si dovrebbe approfittare della tua presenza all’ambasciata di Washington e per vedere se sia possibile un tuo interessamento patriottico presso l’O.E.A. e gli istituti scientifici della capitale, al fine di distaccare [a Cuenca] due o tre esperti per studiare e classificare le migliaia di pezzi custoditi nel museo. Padre Crespi ha accettato con entusiasmo.
Questi reperti sono praticamente sepolti e passano quasi inosservati, come hai potuto constatare visitando il museo. Se la relazione degli esperti dovesse essere positiva, potremmo vedere se è possibile fargli avere un aiuto economico per costruire, se non un edificio, almeno un altro edificio o, per lo meno un ampio salone, nella stessa Casa Salesiana, in cui possa sistemare, secondo un criterio di classificazione tecnico, le migliaia di preziosi oggetti archeologici.
Come amico e come cittadino di Cuenca, mi permetto di chiederti di ricorrere a tutto il tuo impegno e alle tue influenze, frutto dell’alto e meritato incarico ricoperto, per aiutare questo instancabile religioso che ha dedicato buona parte della sua vita per salvare dall’oblio e dalle speculazioni, spendendo oltre le sue possibilità, per acquistare reperti e formare un museo che, una volta conosciuto, diverrà l’orgoglio della città di Cuenca e richiamerà un’infinità di turisti e studiosi, essendo anche prova del progresso scientifico dell’Ecuador”.
In sintesi la risposta: “Trovo molto interessanti le informazioni e i commenti contenuti nella tua lettera riguardante il museo archeologico di padre Crespi. L’ho visitato diverse volte e ritengo che vi siano oggetti davvero preziosi che meritano di essere studiati e catalogati da esperti tecnicamente esperti. Ho parlato con alcuni dignitari dello Smithsonian Institute cercando di interessarli alla realizzazione di questo studio. La cosa è attualmente all’esame del Consiglio Direttivo. Continuerò ad insistere e spero di riuscirci. Se riuscissimo ad ottenere il distaccamento di uno o due specialisti, qualora trovassero pezzi di un certo valore archeologico, il secondo passo potrebbe essere la formale fondazione di un museo dipendente e, in parte finanziato, dallo Smithsonian. Ciò significherebbe molto per la cultura regionale, nazionale e sarebbe molto significativa per la città di Cuenca. Magari più avanti sarò in grado di fornirti maggiori informazioni al riguardo. Nel frattempo, tu potresti comunicare a padre Crespi il mio entusiasmo circa la collocazione del suo museo nella categoria che merita”.6
Non sappiamo che fine fecero questi progetti, ma, a quanto pare, non arrivò una commissione scientifica, né si conosce alcunché di eventuali fasi successive proposte. Quello che è certo è che nel 1978, i superiori di padre Crespi decidono di vendere il museo al Banco Centrale dell’Ecuador (B.C.E.), proprio in quegli anni, impegnato in una politica che prevede di destinare gli utili di esercizio all’acquisizione di patrimoni culturali appartenuti a privati o istituzioni. Infatti, era impensabile ritenere che un anziano di 87, consumato da tanto zelo nei confronti dei bambini e dei giovani, dell’istruzione e dell’amministrazione dei sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia, potesse farsi ulteriormente carico di un’enorme quantità di oggetti d’interesse archeologico e artistico.
- Dopo l’incontro con Padre Crespi, Stan Hall dichiarò ad un amico : “Se mai mi sono sentito alla presenza d’un Santo, è stato con Padre Crespi!” [↩]
- L’astronauta che sbarcò sulla Luna [↩]
- Vistazo, in italiano “lo Sguardo” – novembre 1978 – rivista quindicinale fondata il 4 giugno 1957 con sede in Guayaquil”. [↩]
- Avendo preso parte alla cerimonia in onore di padre Crespi, l’autore di questa biografia ha avuto modo di ascoltare questi concetti dalla viva voce del protagonista. Oggi più che mai appaiono attuali, in quanto sussiste in Ecuador una maggiore consapevolezza del valore dei popoli che hanno dato luogo a significative culture nel corso dei millenni. [↩]
- Lo storico Tomas Vega Toral costituisce parte del Centro di Studi Storici e Geografici del Azuay. Partecipa inoltre al dibattito riguardante l’ubicazione della città di Tomebamba e pubblica le sue principali ricerche sulla rivista del Centro. Fra le sue opere si ricordano: Nozze di brillanti sacerdotali di fra Alfonso Maria Jerves, Scoperta e primo viaggio sul Rio delle Amazzoni, Omaggio alla memoria del Rev. Dottor Giulio Maria Matovelle, Le lapidi di Tacqui e Tomebamba degli Inca. [↩]
- La corrispondenza è conservata presso l’Archivio Storico dell’Ispettorato Salesiano di Quito [↩]