Crespi è un uragano di attività che tocca ogni aspetto possibile, dalla Presidenza della Repubblica fin verso le foreste amazzoni che, in forza delle sue conoscenze, alla sua virtù e alla sua ansia nel servizio missionario. Ancora una volta scrive a Don Rinaldi (Rettore Maggiore dei salesiani dal 1922 al 1931) che, pur in mezzo alle rinunce, continua in modo risoluto il suo lavoro:
“Comunque, amatissimo Padre, la parola rinuncia è per me un ordine: Dio ha posto nel mio cuore uno zelo inesauribile, più passano gli anni e più cresce l’amore al lavoro, al dolore, al sacrificio; Padre Crespi è un canale di irrigazione che scorre sempre avanti, se si chiudono le serrande, sia da una parte che dall’altra, se ne apre un’altra, chiusa anche quest’ultima, va sempre avanti solo per fare un po’ di bene, al solo scopo di cooperare in minima parte al trionfo dell’ideale salesiano. Le confido che, nel maggio del 1906 mi è apparso don Bosco, che mi mostrò questo immenso campo di apostolato dove sto attualmente lavorando. Questa visione la tengo scritta nella versione che presentai al confessore prima di entrare in Noviziato, in quello stesso anno. Di quando in quando, la torno a leggere per mio conforto e sollievo” (Cuenca, lettera del 22/02/1930 a don Rinaldi, pagg. 3 -4).
Il caratteristico lavoro, proprio dello spirito salesiano, risplende in don Carlo grazie alla sua attività infaticabile che desidera raggiungere tutte le frontiere del lavoro in un paese incamminato sulla via del progresso di questa epoca. Lo anima una mistica missionaria ammirabile. A tale proposito, scrive a don Rinaldi: “Creda , amato Padre, dopo la beatificazione di Don Bosco, la mia vocazione missionaria è diventata più viva, calorosa e generosa. Voglia Dio formare il mio cuore al massimo eroismo” (Cuenca, lettera del 6/02/1931 a don Rinaldi, pag. 2). Il suo è un amore incondizionato dei santi disegni di Gesù, che non si pone limiti nella donazione, ed è disposto a portare la sua offerta fino alla fine. Anche in un’altra lettera del tempo don Carlo scrive ai superiori con un amore disposto ad arrivare fino alla fine. “Reverendo Sig. Ricaldone, sono pronto per il lavoro, per il sacrificio, a tutto: ogni giorno che passa il Signore mi manifesta la tenerezza del suo amore e mi guida verso il sacrificio. Voglia il cielo che io possa sempre corrispondere a questo amore e a lavorare per la sua gloria (Quito, 12/10/1929 a don Ricaldone, pag. 8).
La concezione che P. Crespi ha di raccordare il civile al religioso, riflette nella necessità da lui avvertita di dare impulso ad un coinvolgimento delle autorità politiche allo scopo di favorire lo sviluppo della zona missionaria orientale, così da progredire nella evangelizzazione. Scrivendo a Don Berruti, così si esprime: “Questa pressione con i governi è un’opera di alta spiritualità missionaria, ed è fondamentale per ottenere libertà d’azione nel nostro campo religioso. Persuaso che senza grandi mezzi materiali non si può dichiarare guerra al diavolo (capo incontrastato in quasi tutto il Vicariato, trovandosi l’attuale sfera di azione missionaria all’interno del regno shuar, e rimanendo ancora isolati i due terzi del suo territorio), ho cominciato un viaggio di propaganda per raccolta fondi” (lettera 11/07/1934 a don Berruti, incompleta, pagg. 1 -2).
Essendosi già stabilito in Cuenca, don Carlo illustrava a don Ricaldone le opere di assistenza sociale che garantiva ai poveri mediante la Scuola “Cornelio Merchan”: “Le invio un foto scattata da un padre di famiglia la mattina del 3 ottobre 1948, pochi minuti prima di iniziare l’anno scolastico con 1312 alunni. Si tratta del sorriso di don Bosco: nessuno dei piccoli paga la retta, vi sono circa 30 professori per le materie scolastiche, musica, canto, ginnastica, scouts. Ogni mattina, ai più poveri, a quelli che fanno la Comunione e a coloro che vengono da lontano, viene distribuita una tazza di cioccolata e pane; ogni trimestre, ai più poveri vengono distribuiti vestiti. Don Bosco sorride e pensa a tutto, paga i professori e tutte le spese straordinarie perché il personale salesiano è impegnato nella casa di formazione e non può aiutarmi” (Cuenca, lettera del 24/11/1948 a don Ricaldone, pag.2).
In tutto questo emerge il profilo di P. Crespi, sacerdote, apostolo, di profonda sensibilità sociale nella città di Cuenca che in questo periodo soffre di una povertà acuta e di ristrettezze economiche.