
Nei lustri che seguirono egli riuscì a mutare mentalità e tecnologie che avrebbero consentito più specifiche attenzioni verso le etnie Shuar, Achuar e affini che – oggi quasi tutti cristiani – poterono così costituirsi in Autonoma Federazione Shuar, a salvaguardia dei propri diritti umani e culturali e ad incremento del loro stato sociale ed economico. Va dunque dato atto alla sensibilità dei missionari salesiani e, particolarmente in quel tempo, a Padre Crespi, se fin dagli anni ’20 un fondamentale rispetto per gli indios e un certo controllo sulla penetrazione colonica (per quanto relativo) poté salvaguardare in qualche modo la presenza, la cultura, la libertà e la stessa potenzialità organizzativa delle etnie indigene.
Fu un missionario-scienziato con lo stupore di un fanciullo che conservò fino alla morte. Con ciò dimostra di aver perfettamente metabolizzato quella frase di Gesù: «In verità vi dico: se non ritornerete come bambini, non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 18,3). Non per nulla negli ultimi anni, ormai ultra-ottantenne, la sua gente cominciò a chiamarlo “niño de ciento años” (bambino di cento anni). Questa notevole figura di salesiano missionario-scienziato fa parte delle tradizionali schiere che San Giovanni Bosco inviò fino ai confini del mondo con impegni abbinati di religione e scienza.
Con Padre Crespi i salesiani poterono finalmente realizzare nel lontano Ecuador l’abbinamento, da tempo programmato, di una missione religiosa con una missione scientifica, in una armonica simbiosi tra l’impegno apostolico e l’impegno culturale: «fu l’uomo giusto al posto giusto!»
P. Carlo Crespi fu certamente musicista, scienziato, ingegnere …, ma egli fu prima di tutto e innanzitutto un missionario che con le sue ricerche, i suoi studi, i suoi interventi ambientali e sociali, era interessato alla salvezza dell’uomo integrale e, solo come corollario a questo obiettivo primario, si serviva dei suoi talenti scientifici e musicali.
Divulgò con tutte le forze la devozione a Maria Ausiliatrice, consumando la vita nell’omonimo Santuario. Era sempre in mezzo ai poveri: la domenica pomeriggio faceva catechismo ai ragazzi di strada e dava loro, oltre al divertimento, il pane quotidiano. Il suo confessionale, specie negli ultimi anni di vita, era spesso affollato (arrivò a confessare per 48 ore di seguito) e la gente cominciò a chiamarlo spontaneamente “San Carlos Crespi”.
“La vita di questo Servo di Dio così ricca di aneddoti— hanno scritto i suoi intimi — è già quasi leggendaria per la sua umiltà e semplicità, per la sua dedizione senza riserve al servizio di tutti, specialmente i più poveri. Già da molti anni il suo popolo azuayo lo considerava un santo, ne sollecitava i consigli semplici, lo amava con la purezza con cui i popoli amano una persona benefica. Anche se egli avesse ristretto il suo campo alla sola investigazione scientifica e preistorica, tanto basterebbe per annoverarlo tra le più insigni espressioni di tale specializzazione, ma egli ha fatto molto di più con il suo amorevole cuore e con le sue meravigliose opere a favore dei fanciulli e dei poveri nei quali, al di là della persona, vedeva Cristo”.
“Ha muerto un santo!”, affermò la gente e, si sa, senza con questo voler per nulla anticipare il giudizio della Chiesa,“Vox populi, vox Dei”.