La cinematografia ecuadoriana è, a tutt’oggi, giovanissima e solo in anni recenti ha cominciato a produrre con regolarità lungometraggi e cortometraggi, in pellicola e in video. Eppure, l’Ecuador già dagli anni Venti ha iniziato la sua avventura nel mondo delle immagini in movimento. E il suo pioniere è stato un padre salesiano italiano, Carlo Crespi che nel 1923, come è già stato ricordato, sbarca a Guayaquil, l’immensa città portuale, con 120 casse di materiale vario, tra cui una macchina fotografica, una macchina da presa, un proiettore. E con esse raggiunge Quito, la capitale, e da lì la foresta amazzonica, inviato dall’ordine dei salesiani per documentare le missioni nell’oriente ecuadoriano.
La sua base diventerà, fino alla sua morte, Cuenca. E’ (anche) per questo motivo che il neonato festival del cinema gli ha reso omaggio, proiettando, nella serata inaugurale, un documentario – Homenaje al Padre Crespi (omaggio al Padre Crespi), realizzato da Jorge Luis Serrano – che in mezz’ora ripercorre le tappe di questo pioniere attraverso testimonianze e rare immagini di uno dei suoi lavori, “Los invencibles shuaras del Alto Amazonas, girato nel 1926 con la popolazione dei shuara, documentario di carattere antropologico che ben evidenzia lo sguardo attento di Crespi nel cercare il dettaglio o il totale, in inquadrature sempre molto ‘calde’ e dunque di alto valore visivo, ben oltre il semplice reportage.
E’ dunque un vero peccato che la quasi totalità della sua opera cinematografica sia andata perduta in quella notte del 1962 (quando venne dolosamente distrutta sia la scuola che il museo).
Ciò che è più interessante nella vita di padre Crespi è l’attività pionieristica nell’ambito della produzione cinematografica ecuadoriana. Gli invincibili shuar dell’Alta Amazzonia è il titolo del documentario girato e montato in collaborazione con il fotografo Rodrigo Bucheli e Carlo Bocaccio. La prima edizione può contare sulla partecipazione di Vitey de Fontana che ha preso parte alla realizzazione di prestigiose pellicole, come Quo vadis? e Gli ultimi giorni di Pompei. La troupe riesce a filmare circa duemilacinquecento metri di pellicola, ridotti alla metà in fase di montaggio. Il debutto a Quito e a Guayaquil avviene nel 1927 e, in seguito, a Cuenca e nei vari cantoni delle diverse provincie dell’Ecuador.
Gli invincibili shuar dell’Alta Amazzonia è un film muto suddiviso nelle seguenti quattro parti:
1) Da Genova all’arrivo nell’Oriente.
2) Alcuni costumi degli shuar e la festa della tzantza.
3) L’opera salesiana nelle missioni.
4) Il supporto del Comité Patriótico Orientalista de Señoras.
La parte principale del film coincide con la partenza via mare dal porto di Genova e l’arrivo a Guayaquil, della quale documenta l’attività commerciale, i giardini pubblici e le strade. Il focus del documentario si sposta su Cuenca, nell’intento di raccontare il paesaggio dell’Oriente, la vita quotidiana delle donne, l’educazione dei figli, la fabbricazione delle pentole, la preparazione della chicca1, il confezionamento delle ceste, la mietitura, la tessitura del cotone, la costruzione di una cerbottana con dardi avvelenati per cacciare gli uccelli. Descrive quindi la pesca con il barbasco2 e la vita animale nella foresta: pappagalli, ara, aironi… Il “viaggio” cinematografico continua con la rappresentazione di scene di caccia al puma, al giaguaro e al cinghiale da parte di indios armati di lance e fucili.
Il documentario prosegue con la rappresentazione di un fatto macabro ambientato in un villaggio indigeno. L’agghiacciante reportage ha come protagonista una certa Makeipa, la quale fa uccidere il marito per procedere alla trasformazione della sua testa in una tzantza. La cerimonia è accompagnata da danze, mentre la cinepresa passa ad inquadrare il paesaggio. L’estremo realismo delle immagini non è che un preambolo per introdurre il tema principale della pellicola: l’opera missionaria dei salesiani che evangelizzano, educano e mostrano agli autoctoni la via del progresso, a partire dalla costruzione di strade e ponti, dall’agricoltura tradizionale e moderna, del lavaggio dell’oro nei fiumi. Nella parte finale, il film mette in evidenza il supporto ricevuto dal Comité Patriótico Orientalista de Señoras.
Questo il commento: “Sull’écran si proiettano belle scene naturali di armadilli, agouti, urogalli, pavoni e preziosi ornamenti, tra cui una collana di 5.000 denti di scimmia, un tessuto realizzato con 500 femori di uccello ed altri otto fabbricati con 6.000 ali d’insetto”. Nel documentario si vedono anche alcuni scheletri che padre Crespi studierà dal punto di vista scientifico. Egli afferma: “L’obiettivo fondamentale di questa pellicola consiste non solo nel far conoscere la regione orientale agli ecuadoriani, ma anche nel fornire un’immagine fedele della vita degli shuar. Non è un cannibale come pensano gli stranieri, ma un individuo primitivo che non ostacola la civilizzazione”. A prescindere da questa dichiarazione, senza dubbio il film serve a mettere in rilievo l’evangelizzazione posta in essere dai missionari salesiani.
Il documentario viene proiettato a Cuenca, Quito (nel Collegio don Bosco e al Teatro Sucre), Guayaquil (al cinema Edén), Ancón e in altre città del paese.
L’arcivescovo Manuel Maria Polit elogia il lavoro di Carlo Crespi, affermando che il cinema è un mezzo idoneo alla diffusione della fede, sebbene a volte sia utilizzato a sproposito. “È un vero peccato che i cattolici abbiano lasciato monopolizzare [da altri] un’arma tanto potente”. E aggiunge, rivolgendosi a padre Crespi: “Lei è stato il primo tra noi a incamminarsi su questa strada”. Col passare del tempo, il film si rovina. Non esiste una copia completa; della pellicola originale rimangono solo alcuni spezzoni. Grazie al contributo dell’U.N.E.S.C.O. e dell’Università Autonoma del Messico, la Cineteca Nazionale della C.C.E. la restaura, aggiungendo immagini fisse, un commento musicale e qualche effetto speciale.
Rimane, oltre a questo recente documentario in sua memoria, una ricostruzione del suo film sopraccitato, effettuata in occasione del centenario del cinema.