Legnanese doc prestato alla Chiesa e alla scienza.
Anche in questo caso il proverbio popolare che Gesù applicò a se stesso è quanto mai appropriato: «Nessuno è profeta in patria!» Padre Crespi fino al 2007 (quando fu inaugurata la mostra su di lui e sulle sue opere al Leon da Perego) era un perfetto sconosciuto a Legnano, ma non negli USA e in America Latina negli anni 20/30, dove autorevoli istituzioni scientifiche se ne contesero l’appartenenza. Questa singolare figura di missionario e scienziato dalla personalità poliedrica, che per quasi 60 anni operò in Ecuador, tenacemente radicato e “inculturato” nell’ambiente e nella società ecuadoriana, venne ufficialmente riconosciuto come “il miglior regalo fatto dall’Italia dei grandi esploratori all’Ecuador”. E la città di Cuenca nel 2000, a 18 anni dalla morte, lo dichiarò “il Cuencano più illustre del XX secolo”.
Carlo Crespi, terzo di tredici figli, nacque a Legnano – in via Lampugnani, 4 – Venerdì 29 maggio 1891 da Luisa Crespi Croci, e Domenica 31 Maggio venne battezzato nella chiesa Parrocchiale di S. Magno. Nella chiesa della Purificazione (oggi S. Rita), che dal 1898 al 1902 venne utilizzata come chiesa parrocchiale di Legnanello (poi annessa al complesso monastico delle suore Canossiane), ricevette la Prima Comunione e la Santa Cresima.
Il padre, Daniele, era fattore della più grande azienda agricola di Legnano (500 ettari), di proprietà della famiglia Borsani di Mesero; inoltre gestiva in proprio una piccola azienda di bachicoltura, adiacente alla casa dove abitava, in via Lampugnani 4; mentre Luisa Croci si occupa della casa e della numerosa discendenza che conta, in totale, tredici eredi: sette maschi e sei femmine. Carlo è il terzo della nidiata. Due muoiono in tenera età e due si fanno religiosi. Tra questi, Delfino, diverrà missionario in Tailandia. Il cortile della casa Crespi era caratterizzato da tre gelsi bianchi, ultrasecolari, ora non più esistenti, perché sacrificati negli anni settanta per lasciar posto ad un condominio.
Del suo luogo di nascita amava dire: “Sono nato a Legnano, famosa città Lombarda dove l’imperatore germanico Federico Barbarossa subì una storica sconfitta il 29 maggio 1176”.
Gli anni della fanciullezza, che passò con i fratelli e le sorelle scorazzando per i campi amministrati dal padre, inebriandosi di sole, di luce, di contatto con la natura, contribuirono ad influenzare la sue inclinazioni: l’amore e lo studio della natura. Sia lui che il fratello Delfino (entrambi diventeranno missionari salesiani), impararono da questo habitat familiare ad amare i fiori e le piante che tanta parte avranno negli anni passati nelle foreste amazzoniche l’uno, e in quelle tailandesi l’altro. Sempre in famiglia venne preparato il terreno perché attecchisse, poi, il seme della vocazione sacerdotale in Carlo e Delfino. Infatti, dopo cena, la madre Luisa riuniva attorno a sé lo sciame dei suoi figli per la recita del S. Rosario, abitudine che contribuirà a permeare a fondo le pratiche religiose di Carlo e non lo abbandonerà sino all’ultimo giorno di vita; con il rosario in mano chiuderà gli occhi per aprirli sull’eternità. La domenica, poi, questa nidiata di uccellini, con in testa il padre, si recava nella vicina Basilica di S. Magno per la Messa dove, a detta di chi li conobbe, il loro comportamento era esemplare ed edificante. Ben presto, poi, il piccolo Carlo prese ad assistere il celebrante in veste di chierichetto.
Rientrato a casa, Carlo aiutava la madre nelle faccende quotidiane e, quando il padre lo richiedeva, partecipava ai lavori agricoli, per lo più di irrigazione, nella stagione estiva.
Tra i ricordi d’infanzia, riferiti intorno al 1976 a padre Luis Flores, vi è l’affetto nutrito per il locale parroco, dal quale eredita svariate devozioni, tra cui il pregare per i congiunti nel cimitero o per i malati nell’ora estrema. A sette anni (il 19 Giugno 1898), nella chiesa di Santa Maria della Purificazione, riceve la sua prima Comunione, dopo aver frequentato i corsi di catechismo e aver completato la sua formazione con l’aiuto della madre, da lui ricordata come una santa, e a otto anni (il 15 Agosto 1899) riceve la S. Cresima dalle mani del Cardinal Ferrari. Tornano alla mente anche i giochi dell’infanzia e della giovinezza, nei quali primeggia, soprattutto come sbandieratore.
Frequenta la scuola primaria insieme ai fratelli. Grazie a una brillante intelligenza, termina a tempo di record le diverse classi di studio, manifestando, fin dalla scuola elementare quelle grandi doti di cuore, di intelligenza, di determinazione e di iniziativa che esprimerà da studente universitario e da missionario.
Studi di iniziazione. A dodici anni incontra i salesiani presso il Collegio sant’Ambrogio di Milano, dove riceve un trattamento affettuoso dagli insegnanti e dalle autorità scolastiche. Stringe amicizia con quattrocento studenti, armonizzando alla perfezione i giochi, la liturgia, gli studi e considerando il centro educativo come una seconda casa. Scrive nel suo diario: “Gli anni passati nel collegio salesiano di Milano sono stati vissuti nella più spontanea innocenza, senza la benché minima ombra del male, senza un cattivo pensiero, senza sapere cosa fosse la malizia. L’ultimo anno fu di ascesi spirituale, di manifestazioni, di sofferenza, di generosi propositi”. A proposito di manifestazioni, annota, inoltre, quello che lui stesso definì: un “sogno rivelatore” e che molti anni dopo così racconterà: “Studiavo ancora al Collegio Sant’Ambrogio. Mi ero appena addormentato e mi apparve in sogno la Vergine che mi mostrò una scena: da un lato, il demonio che voleva afferrarmi e trascinarmi; dall’altro, il Divin Redentore, con la croce, m’indicava un’altra via. Ero vestito da sacerdote e avevo la barba; stavo su un vecchio pulpito, attorno a me una moltitudine di persone desiderose di udire le mie parole. Il pulpito non si trovava in una chiesa, ma in una capanna. Subito dopo, mi risvegliai. Alcuni compagni di stanza, che ancora non dormivano, ebbero modo di udire la mia predica e il giorno seguente me la raccontarono”.
Questo sogno influì sulla vocazione di Carlo? Quello che è certo è che l’educazione ricevuta nel collegio salesiano lo aiutò a far luce dentro di sé e a renderlo attento al Signore che chiama.
Poiché sin dalla tenera età si era distinto per le eccezionali doti canore, mentre era a Milano, gli venne chiesto di entrare nel coro della cattedrale e gli offrirono di partecipare a un corso di canto corale. Tutto pareva indirizzarlo verso l’ingresso in seminario e la carriera di sacerdote diocesano. Tuttavia, era già orientato alla comunità salesiana e mantenne fede al suo proposito. Fra gli aneddoti di questo periodo che lo riguardano, vi è quello di aver appreso tanto rapidamente il latino al punto da tradurre, con estrema facilità, il “De bello gallico” di Giulio Cesare.
L’opposizione risoluta del padre e la felicità contenuta della madre lo fecero riflettere sulla sua vocazione, ma alla fine decise. A suo padre che lo interrogava sul suo futuro rispose: “Vedi, papà, la vocazione non te la impone nessuno; è Dio che chiama; io mi sento chiamato a diventare salesiano!”.