DOMANDE DEL GIORNALISTA ALESSANDRO BIANCHI E RELATIVE RISPOSTE DI CARLO RIGANTI SUL SERVO DI DIO PADRE CARLO CRESPI PER IL SETTIMANALE WEB “REALTÀ LOMBARDA”
1) Mi racconta brevemente chi era Padre Crespi?
Anche in questo caso il proverbio popolare che Gesù applicò a se stesso è quanto mai appropriato: «Nessuno è profeta in patria!»
Padre Crespi fino al 2007 (quando ho curato la mostra su di lui e sulle sue opere al Leon da Perego) era un perfetto sconosciuto a Legnano, ma non negli USA e in America Latina negli anni 30, dove autorevoli istituzioni scientifiche se ne contesero l’appartenenza. Questa singolare figura di missionario e scienziato dalla personalità poliedrica, che per quasi 60 anni operò in Ecuador, tenacemente radicato e “inculturato” nell’ambiente e nella società ecuadoriana. venne ufficialmente riconosciuto come “il miglior regalo fatto dall’Italia dei grandi esploratori all’Ecuador”. E la città di Cuenca nel 2000, a 18 anni dalla morte, lo dichiarò “il Cuencano più illustre del XX secolo”.
Carlo Crespi, terzo di tredici figli, nacque a Legnano, in via Lampugnani 4, il 29 maggio 1891, nello stesso giorno in cui si commemora la battaglia di Legnano. Del suo luogo di nascita amava dire: «Sono nato a Legnano, famosa città lombarda dove l’imperatore germanico Federico Barbarossa subì una storica sconfitta il 29 maggio 1176». Fu battezzato nella piccola chiesa di Santa Maria della Purificazione (oggi conosciuta come chiesa di Santa Rita) annessa alla Barbara Melzi, dove la comunità di Legnarello si recava fino al 1902, quando fu inaugurata la chiesa del SS. Redentore. Fu ordinato sacerdote domenica 28 gennaio 1917 e (la domenica successiva 4 febbraio?) celebrò celebrare una delle sue prime S. Messe a Legnano, nella chiesa del SS. Redentore.
Nel 1921 si laureò brillantemente a Padova in Scienze naturali e, qualche mese dopo, si diplomò in composizione e pianoforte presso il Conservatorio Musicale della medesima città. Nella discussione della tesi s’impose all’attenzione degli studiosi per aver scoperto nelle paludi di Comacchio un microrganismo che egli dimostrerà essere stato trasportato dall’antartico, tramite gli uccelli migratori, e che chiamerà “rotifera dell’antartico”.
Nel 1923 parti per l’Ecuador dove visse e operò per quasi 60 anni, dove si spense serenamente il 30 aprile 1982, a seguito di una lunga malattia, nella clinica “Santa Inés” di Cuenca, dopo essersi dato “tutto a tutti”.
Fu un missionario-scienziato con lo stupore di un fanciullo che conservo fino alla morte. Con ciò dimostra di aver perfettamente metabolizzato quella frase di Gesù: «In verità vi dico: se non ritornerete come bambini, non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 18,3).
Questa notevole figura di salesiano missionario-scienziato fa parte delle tradizionali schiere che San Giovanni Bosco inviò fino ai confini del mondo con impegni abbinati di religione e scienza. Con Padre Crespi i salesiani poterono finalmente realizzare nel lontano Ecuador l’abbinamento, da tempo programmato, di una missione religiosa con una missione scientifica, in una armonica simbiosi tra l’impegno apostolico e l’impegno culturale: «fu l’uomo giusto al posto giusto!»
Carlo Crespi fu certamente musicista, scienziato, ingegnere …, ma egli fu prima di tutto un missionario che con le sue ricerche, i suoi studi, i suoi interventi ambientali e sociali, era interessato alla salvezza dell’uomo integrale e, solo come corollario a questo obiettivo primario, si serviva dei suoi talenti scientifici e musicali.
Divulgò con tutte le forze la devozione a Maria Ausiliatrice, consumando la vita nell’omonimo Santuario. Era sempre in mezzo ai poveri: la domenica pomeriggio faceva catechismo ai ragazzi di strada e dava loro, oltre al divertimento, il pane quotidiano. Il suo confessionale, specie negli ultimi anni di vita, era spesso affollato (arrivò a confessare per 48 ore di seguito) e la gente cominciò a chiamarlo spontaneamente “San Carlos Crespi”.
La vita di questo Servo di Dio così ricca di aneddoti— hanno scritto i suoi intimi — è già quasi leggendaria per la sua umiltà e semplicità, per la sua dedizione senza riserve al servizio di tutti, specialmente i più poveri. Già da molti anni il suo popolo azuayo lo considerava un santo, ne sollecitava i consigli semplici, lo amava con la purezza con cui i popoli amano una persona benefica. Anche se egli avesse ristretto il suo campo alla sola investigazione scientifica e preistorica, tanto basterebbe per annoverarlo tra le più insigni espressioni di tale specializzazione, ma egli ha fatto molto di più con il suo amorevole cuore e con le sue meravigliose opere a favore dei fanciulli e dei poveri nei quali, al di là della persona, vedeva Cristo”. “Ha muerto un santo!”, affermò la gente e, si sa, senza con questo voler per nulla anticipare il giudizio della Chiesa, “Vox populi, vox Dei”.
2) Perché è entrato nei Salesiani?
A differenza del fratello minore Delfino (undicesimo di tredici, diventato anch’egli salesiano e, poi, missionario in Tailandia), che ebbe nel fratello un punto di riferimento, si potrebbe dire che Carlo incontrò i salesiani per caso o, meglio, per proseguire gli studi, infatti, dopo aver frequentato la scuola elementare a Legnano, per frequentare i successivi due anni del ginnasio, allora gestito dalle scuole private religiose, trovò un posto di internato presso l’Istituto salesiano milanese di S. Ambrogio dove, per altro, ebbe il famoso sogno premonitore.
Di quel periodo, nel suo Diario, si legge: «Gli anni trascorsi nel Collegio Salesiano di Milano li ho passati nella più spontanea innocenza, senza la minima ombra del male, senza un cattivo pensiero, senza sapere quale fosse la malizia. L’ultimo fu un anno di ascesi spirituale, di manifestazioni, di sofferenza, di generosi propositi». La scelta vocazionale avvenne dopo il 1903, mentre proseguiva gli studi presso il liceo salesiano “Valsalice” di Torino. L’8 settembre 1907 pronunciò la professione religiosa e nel 1910 si legò definitivamente alla Società Salesiana di S. G. Bosco, mediante la professione perpetua.
3) Ebbe per altro un sogno “premonitore” di ciò che fece in futuro, ce lo può raccontare?
Giovanni Bosco, quando voleva parlare del come ha realizzato la sua opera, faceva riferimento ai suoi moltissimi sogni premonitori. Anche Padre Carlo Crespi quando parlava della sua vocazione missionaria faceva riferimento a un sogno che egli chiama “rivelatore”.
Ecco come molti anni dopo ne parlerà lui stesso: «Quando studiavo nel collegio milanese di S. Ambrogio mi ero appena addormentato quando la Vergine mi mostrò una scena: da un lato il demonio cercava di prendermi e trascinarmi; dall’altro, il Divin Redentore con la croce mi mostrava un’altra strada. Subito dopo mi ritrovai vestito da sacerdote, con la barba, sopra un vecchio pulpito con attorno a me una moltitudine di persone desiderose di ascoltare la mia parola. Il pulpito non si trovava in una chiesa, ma in una capanna. Subito dopo mi svegliai. Alcuni compagni che stavano in dormitorio con me, ma che erano svegli, ascoltarono la mia predica e il giorno seguente me la raccontarono».
Questo sogno influì sulla vocazione di Carlo? Quello che è certo è che l’educazione ricevuta nel collegio salesiano lo aiutò a far luce dentro di sé e a renderlo attento al Signore che chiama. L’opposizione risoluta del padre e la felicità contenuta della madre lo fecero riflettere e alla fine decise. A suo padre che lo interrogava sul suo futuro rispose: “Vedi, papà, la vocazione non te la impone nessuno; è Dio che chiama; io mi sento chiamato a diventare salesiano!”
4) Perché ha deciso di cambiare vita e di andare in Ecuador?
Il sogno rivelatore aveva instillato nella sua anima un forte desiderio missionario che, negli anni della formazione, aveva condizionato e indirizzato il suo curriculum formativo.
Gli anni dal 1915 al 1921 evidenziarono la determinazione e la forte tempra di Carlo Crespi! É straordinario come nel giro di quegli anni inquieti (il mondo stava conoscendo gli orrori della 1^ guerra mondiale), il giovane salesiano sia riuscito contemporaneamente a completare gli studi teologici; abbia fatto il servizio militare promuovendo e realizzando corsi formativi per i soldati; abbia insegnato al Collegio Manfredini; abbia frequentato l’università con la discussione della tesi in meno di 4 anni; si sia diplomato al Conservatorio e abbia trovato anche il tempo di partecipare a speciali corsi di ingegneria e idraulica. Questa mole di impegni brillantemente portati a termine, oltre che a comprovare che don Carlo aveva doti di intelligenza fuori del comune e veramente degne di attenzione, focalizzò l’attenzione dei superiori su di lui.
Qualche mese dopo la sua laurea, quando, in vista dell’Anno Santo del 1925, Pio XI volle programmare a Roma una documentata Esposizione Internazionale Missionaria, i salesiani fecero propria l’iniziativa, anche in funzione del 50° delle Missioni salesiane, con una Mostra Missionaria da tenersi a Torino (1926). A tale scopo i superiori pensarono subito a don Carlo Crespi e lo ricuperarono dal Collegio Manfredini di Este, dove era stato assegnato per insegnare scienze naturali, matematica e musica.
Fu a questo punto che don Carlo venne chiamato a occuparsi delle missioni ecuadoriane, poiché, in quel periodo, la più significativa missione salesiana tra gli amerindi era quella dell’Oriente ecuadoriano, e di essa bisognava raccogliere la migliore documentazione, anche a livello scientifico. Era l’anno 1921. Da parte sua il Rettore dell’Università di Padova gli rilasciò una lettera di raccomandazione in cui, tra le altre cose, lo definiva uno scienziato di chiara fama.
Poste così le premesse, dopo un anno, don Carlo si prepara a partire per l’Ecuador, non prima, però, di aver ottenuto dal suo superiore l’assicurazione che avrebbe esercitato il suo apostolato tra i Jivaros (tristemente famosi per l’arte crudele di rimpicciolire le teste dei nemici, chiamate “tsantsas” al volume di un pugno). Temeva, infatti, di venire poi “imboscato”, com’era capitato ad altri confratelli, in qualche istituto scolastico d’oltre oceano.
“Ora – scriverà infatti al Rettore Maggiore, il Beato don Filippo Rinaldi – vorrei una parola che mi assicuri che la mia povera opera sarà veramente spesa tra i Jivaros, perché solo per loro ho tenuto tante conferenze, lascio la famiglia, lascio la patria, lascio soprattutto splendidi ideali scientifici e musicali…, solo per seguire questa fortissima vocazione”.
Don Crespi – riferisce chi lo conobbe e gli fu amico – si sentiva del tutto felice perché gli vibrava nel profondo la vocazione dell’apostolo. Egli, infatti, all’impegno scientifico e organizzativo per le esposizioni di Roma e Torino, aggiunse un vasto impegno di azione missionaria; non solo per documentare quanto avevano già fatto o venivano facendo gli altri, ma per fare quanto più poteva lui stesso a duraturo beneficio delle missioni, dei poveri e degli indios. Dal momento in cui mise piede in Ecuador, si può dire che egli si immedesimò nel Paese e nel popolo di adozione e di cui volle farsi concittadino”. Ecco in prospettiva ciò che significava l’approdo di Padre Crespi oltre oceano nel 1923: impasto dell’uomo con la terra, con le genti, con gli indios, con le selve, con la natura e con tutto, da cui sarebbero poi anche scaturite ricerche, studi, rapporti scientifici, soppesati in primo luogo nel vissuto di ogni giorno. Non ci dovremo stupire, di conseguenza, se i suoi rapporti scientifici risulteranno intrisi di esistenziale, di concreta quotidianità, di spirito missionario, di pionierismo e di avventura: in una parola, di umano.
Esaurito il compito di collezionista fornitore e animatore delle grandi mostre internazionali, egli non volle restare in Italia e nel 1927 elesse Ecuador a sua seconda Patria; si stabilì a Cuenca, nell’Azuay, dove continuò a occuparsi di scienze, ma con il cuore mai smesso dell’apostolo.
5) Aveva anche intenzione di raccogliere materiale per l’Esposizione Internazionale Vaticana e per la mostra Missionaria Mondiale del 1925 a Roma e per la Mostra Missionaria Mondiale di Torino, come andò?
Nel 1921, subito dopo la laurea, Padre Crespi fu chiamato a occuparsi delle missioni in Ecuador, sebbene mancassero quattro anni alla progettata Esposizione, per svolgere un lavoro scientifico serio e credibile. Si trattava:
- di creare un clima di simpatia e di interesse a favore dei salesiani operanti nella missione ecuadoriana di Mendez, valorizzandone le imprese tramite documentazioni scritte e orali e provvedendo ad una congrua raccolta di fondi;
- di progettare uno studio scientifico del territorio in questione, al fine di convogliare i risultati non solo nelle mostre di Roma e Torino, ma soprattutto in un Museo permanente e in un opera “storico-geo-etnografica”.
Per tutto il 1922 si buttò a capofitto nell’impresa avviando una missione scientifica propedeutica che egli stesso così riassume: “Con i dovuti permessi acquistai proiettori e diapositive missionarie sulla Patagonia, sul Mato Grosso e organizzai conferenze e feste missionarie nelle Diocesi di Milano, di tutta la Lombardia e oltre. La propaganda con conferenze fruttò 15.000 lire e diversi industriali del milanese offrirono alcuni quintali di tessuti per il valore di ottantamila lire, che più tardi vennero ripartiti tra gli indios”.
Quando il 24 aprile 1923 sbarcò in Equador iniziò quasi subito a raccogliere con sistematicità scientifica il materiale necessario, fondendo il calore dell’avventura al freddo resoconto scientifico. Non si limita ad ammirare, ma raccoglie, classifica, appunta, fotografa, filma e documenta qualunque cosa attragga la sue attenzioni di studioso. I reperti da lui raccolti ed esposti, poi, nelle mostre Missionarie di Roma e Torino nascondevano, infatti, spessori di vita e di amore.
I risultati furono presto tangibili:
- raccolse oltre 600 varietà di coleotteri alcuni dei quali, fino ad allora sconosciuti, oggi portano il nome scientifico di “crespiani”.
- Catalogò arboscelli, felci, licheni, muschi.
- Preparò 60 gabbie di magnifici uccelli.
- Scattò migliaia di foto.
- Trovò migliaia di oggetti di appartenenza indigena.
- Scavò anche alla ricerca di reperti archeologici.
Infine, poté disporre di un pronto repertorio di vegetali, animali e di oggetti vari, sia in originale che in riproduzione fotografica. La gran parte di questi oggetti, prima di essere spedita in Italia, fu resa accessibile al pubblico in una simpatica Esposizione dell’Ecuador orientale sulla piazza della cattedrale di Guayaquil, nella casa del poeta Rendon, dove rimase per 40 giorni con oltre 30.000 visitatori. In quella circostanza tenne anche 120 conferenze.
Il 14 marzo 1926, per la mostra Missionaria Mondiale di Torino, riuscì a spedire in aggiunta anche 40 gabbie di uccelli e animali vari.
6) Era un uomo molto all’avanguardia, ha persino progettato la strada Pan –Mendez?
Padre Crespi era realmente un uomo in anticipo sui suoi tempi! Verso la fine del ’24, condusse una campagna nella capitale in appoggio alla costruzione della strada Pan-Mendez. Nel mese di agosto del ’25 affrontò trattative con il Governo ecuadoriano per ottenere un forte sussidio alla costruzione della strada Pan-Mendez che, pur non avendola progettata, però contribuì notevolmente a realizzare.
Tra le iniziative poste in essere con il medesimo obiettivo, a fine anno organizzò un’équipe cinematografica per realizzare nella selva ecuadoriana la prima pellicola sull’ambiente e sulla vita dei “Jivaros”, che realizzò nel 1926/27, dal titolo: «Los invencibles shuaras de l’Alto Amazonas». Documentario di carattere antropologico che, oltre a riconoscergli la qualifica di pioniere della cinematografia ecuatoriana, egli utilizzo come mezzo per supportare le sue conferenze scientifiche, volte a raccogliere fondi, sia in Europa che negli USA, per finanziare e realizzare la difficilissima strada Pan-Mendez.
Infatti, il progetto prevedeva la costruzione di un grande ponte sul fiume Namangosa, oltre ad un’altra dozzina di ponti, dai trenta ai sessanta metri, su torrenti e fiumi che incrociavano il suo tragitto. Queste opere, già gravose in zone progredite, toccavano l’impossibile in zone vergini e in situazioni precarie. Da tempo i salesiani si stavano battendo per la realizzazione di quest’opera, ma i lavori erano fermi da alcuni anni per mancanza di mezzi. Fu appunto Carlo Crespi a riprendere e a condurre a termine la coraggiosa impresa, dopo essersi adoperato in ogni modo, non solo in Ecuador, ma anche in Italia e negli Stati Uniti, a raccogliere fondi “Pro camino de Mendez”.
Come anticipato, egli riuscì a condurre sul luogo una commissione governativa con a capo lo stesso Governatore della Provincia di Azuay e a stipulare un regolare contratto, non solo per la sovvenzione della strada, ma anche per realizzare il programma di sviluppo e convivenza tra indios e coloni, dentro e oltre le valli dello Zamorra e dell’Upano.
Nei lustri che seguirono egli riuscì a mutare mentalità e tecnologie che avrebbero consentito più specifiche attenzioni verso le etnie Shuar, Achuar e affini, i cosiddetti ”Jivaros” più volte citati, che – ormai quasi tutti cristiani – poterono così costituirsi in Autonoma Federazione Shuar, a salvaguardia dei propri diritti umani e culturali e ad incremento del loro stato sociale ed economico. Va dunque dato atto alla sensibilità dei missionari salesiani e, particolarmente in quel tempo, a Padre Crespi, se fin dagli anni ’20 un fondamentale rispetto per gli indios e un certo controllo sulla penetrazione colonica (per quanto relativo) poté salvaguardare in qualche modo la presenza, la cultura, la libertà e la stessa potenzialità organizzativa delle etnie indigene.
7) Quali altre opere fece a Cuenca?
A Cuenca, trafficando i suoi talenti, riuscì a realizzare:
- una scuola che accolse fino a 1500 “niños pobres”;
- un santuario dedicato a Maria Ausiliatrice con annesso oratorio;
- una Scuola di specializzazione accademica;
- l’Università Politecnica Salesiana,
- una Scuola Agraria,
- la facoltà di Scienze dell’Educazione.
Inoltre, si adoperò per realizzare strade, ponti, villaggi, impianti idrici e tecnici, linee telefoniche, ponti radio, scuole, chiese, ambulatori e centri sanitari, centrali idroelettriche, colonie agricole e fattorie. Organizzò laboratori di taglio e cucito per le ragazze povere della città. Realizzò un Museo di reperti archeologici precolombiani, di originali cimeli storici indigeni e vetero-popolari, di documentazioni filmiche e di interessanti opere pittoriche. Una commissione di specialisti in arte e archeologia antica e moderna passò al vaglio a uno a uno i reperti e catalogò i pezzi autentici; si ebbero i seguenti risultati:
- Collezione archeologica: composta da 5000 oggetti di alto valore storico-artistico.
- Collezione pittorica: composta da 1187 opere catalogate, suddivise in tele, legni, vetri, rame, marmi, pietre e cromature.
- Collezione scultorica: composta da 132 oggetti di valore e vari frammenti.
- Collezione etnografica: costituita da un insieme di ceramiche coloniali: 50 giare e 216 pezzi tra anfore, vasi ornamentali, ampolle, ecc.
8) A che punto è la sua causa di Beatificazione?
– Il 19 aprile 2002, a Cuenca, viene costituito il comitato Pro-beatificazione di P. Crespi.
– Il 24 marzo 2006 Cisneros, a seguito del parere favorevole della Conferenza Episcopale Ecuadoriana, comunica in assemblea pubblica di accettare la richiesta di inizio della Causa.
– Il 14 giugno 2006 Cisneros chiede al Prefetto della Congregazione Pontificia per le cause dei santi il prescritto nulla osta.
– Il 16 settembre 2006 il Cardinale José Saraiva Martins, Prefetto della stessa Congregazione rilascia il nulla osta richiesto.
– L’8 dicembre 2006, nel Santuario di Maria Ausiliatrice di Cuenca, mons. Cisneros apre ufficialmente il Processo diocesano.
– Il 7 dicembre 2007, terminata l’istruttoria, è stato elaborato il cosiddetto “Transunto”, che contiene tutte le prove riguardanti una vita cristiana eroica-mente vissuta, l’esistenza e la consistenza di una vera fama di santità.
– Il 18 dicembre 2007 è avvenuta la consegna del “Transunto” alla Congregazione Pontificia per le Cause dei Santi, che si trova a Roma.
– Il 15 gennaio 2010 è stato firmato il decreto di “Validità degli Atti dell’Inchiesta Diocesana” per la Beatificazione e Canonizzazione di Padre Carlo Crespi, pubblicato poi il 15 febbraio 2010.
A seguito di ciò è stato nominato il Relatore, per il prosieguo della Causa, nella persona di don Pierluigi Cameroni (postulatore Generale delle cause dei Santi salesiani) con il compito di redigere la “Positio”, destinata a dimostrare l’esercizio eroico delle virtù cristiane di Padre Carlo Crespi.
In questo momento il Relatore sta seguendo l’elaborazione del “SUMMARIUM”, preliminare alla stesura della Positio stessa.
La positio è così costituita:
Primo volume:
- Presentazione del Relatore
- Storia della causa
- Le Fonti
- Biografia
- Sintesi sulle virtù.
Secondo volume:
- Tabella dei testi
- Summarium e documenti presentati al processo
- Decreto sulla validità del processo
- Stampa della Positio
Consegna della Positio alla Congregazione delle Cause dei Santi.
La Congregazione la dovrà esaminare entro 10 anni ed emetterà il Decreto sulla eroicità delle virtù.
Dopo questo Decreto il Servo di Dio diventa “VENERABILE”.
A questo punto finisce l’iter umano e ci sarà solo da attendere un segno dal Cielo, ovvero, un eventuale miracolo, ottenuto per intercessione di don Carlo Crespi.
Il Tribunale diocesano di Cuenca sta esaminando tre “possibili” miracoli operati per intercessione del Servo di Dio P. Carlo Crespi.